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martedì 18 dicembre 2012

La scrittura e la politica- Intervista a Massimo Gramellini.


Massimo Gramellini era già noto al pubblico per la sua rubrica su "La Stampa", un seguito inusuale per un giornalista che è diventato per molti un punto di riferimento per riflettere su politica, attualità, società. Il salto, la grande popolarità, arriva, però, grazie a un libro, "Fai bei sogni", che diventa in brevissimo tempo un caso letterario per il successo che riscuote e per l'immagine dell'autore che filtra attraverso quel racconto autobiografico. Gramellini scrittore o lo si ama o lo si odia, il suo libro non è destinato ad essere messo da parte senza che lasci traccia di sé, perché l'autore ha deciso di offrirsi al lettore inerme e nudo, parlando del dramma che ha segnato tutta la sua vita, la perdita della madre. E' stato accusato di aver voluto speculare sul suo privato, di aver venduto la sua intimità, di essersi piegato alle leggi del mercato con un libretto semplice e di buoni sentimenti, a partire dalla copertina, di aver tradito il suo pubblico. Tutto questo io non l'ho visto: c'è un Gramellini autentico, in nulla differente dal giornalista che sa essere sì graffiante, ma anche tenero; che sa raccontarsi con semplicità esattamente come avviene su "La Stampa"; che sa essere feroce prima con sé stesso e poi con gli altri ma mai con cattiveria partigiana; che affronta temi intimi, importanti, vitali sfuggendo per un soffio la retorica. Alla fine del libro vorresti chiedergli di tutto, discutere ogni episodio narrato, lo senti vicino a te come un vecchio amico, ma, fortunatamente, ti fermi. Perché chi l'ha letto seriamente e in profondità ha visto anche il pudore di Gramellini, il pudore dei sentimenti, e puoi solo rispettarlo, evitando di continuare a fare di lui l'orfano perenne, cercando, invece, assieme a lui, di ritrovare quei tratti comuni che ci rendono tutti degni d'amore.


1) "Fai bei sogni" è un libro autobiografico che ha riscosso un grandissimo successo: è perché ognuno di noi è orfano di qualcuno o qualcosa?

Ognuno di noi ha patito un dolore che non riesce a spiegarsi. La mia storia suggerisce che la sofferenza può diventare una occasione per evolvere, scoprendo risorse di te che altrimenti sarebbero rimaste atrofizzate.

  2) Dice di aver rivisto il romanzo più volte, eppure la sensazione è di essere dinanzi ad un racconto scritto di getto: è perché la metabolizzazione non è ancora avvenuta, per pudore, per rabbia o perché l'ha voluto?

In realtà l’ho scalettato da aprile a luglio del 2011, l’ho scritto in tre settimane durante le ferie estive e l’ho riletto e corretto fino a Natale. L’ho composto di getto perché avevo bisogno di svuotarmi dentro. Come se avessi voluto sbobinarmi il cuore.

3) Seppure si parli di vita, il tema dominante è la morte, il vero, grande tabù della nostra società: è quella l'originaria paura da cui scappiamo? Credere in Dio è una soluzione o un comodo rifugio per vigliacchi?

Ho una visione spirituale dell’esistenza. E trovo assurdo che i laici abbiamo lasciato alle religioni monoteiste l’esclusiva della spiritualità. La mia intuizione mi dice che la vita ha un senso, la sofferenza ha un senso, la morte ha un senso. In sanscrito, la radice di tutte le lingue moderne, morte e madre si scrivono allo stesso modo: Mar. Per indicare ciò che esiste oltre la morte, il sanscrito mette una A davanti alla parola Mar. A-mar. Non le ricorda una nostra parola? A-more. Ecco, oltre la morte c’è l’amore. Chi ha paura della morte ha paura dell’amore.

4) Nonostante  dica che la sua vita fu priva di figure femminili, il libro ne è pieno: che cosa le hanno insegnato le donne? E l'assenza del principale punto di riferimento non le ha lasciato rabbia e assieme idealizzazione?


Per fortuna la vita mi ha ricompensato, restituendomi da adulto le energie femminili che mi aveva tolto da bambino. Però mi è rimasta la tendenza a
idealizzare le donne. Io sono convinto che le femmine siano più evolute dei maschi. Per questo mi dispiace che ogni tanto, per farsi accettare, adottino il modello dei maschi. La parità non è una donna che per avere successo si comporta come un uomo. La parità è portare dentro la società un modello diverso: quello femminile.

 5) Le cronache sono piene dell'orrore ormai quotidiano di donne ammazzate da uomini: secondo lei perché avviene? Quali rimedi propone a livello politico, sociale e individuale?

Avviene perché la cultura dominante continua a considerare la femmina una proprietà del maschio. Quando vado a parlare nelle scuole, mi rivolgo ai maschietti e dico loro: ricordatevi che la fidanzatina di cui vi siete innamorati non è una cosa da conquistare, ma una compagna con cui condividere un tratto del vostro cammino, finché entrambi lo vorrete. Ma se lei cambierà idea, dovete accettarlo e lasciarla andare. Dovete accettare la sconfitta. Se volete essere liberi dentro, dovete dare libertà a coloro che amate: anche la libertà di non amarvi o, peggio, di non amarvi più.

 

6) Qualcuno si è stupito che la penna spesso graffiante del giornalista de "La Stampa" abbia prodotto un libro così cedevole ai sentimenti. Vedo, invece, una continuità fra l'editorialista e lo scrittore: quali altri suoi tratti rimangono identici in ogni sua espressione di scrittura?

Mi sforzo di mantenere sempre la leggerezza. Solo gli stolti la confondono con la superficialità. La leggerezza, ce lo ha insegnato Calvino, è l’unico modo per scavare davvero…


7) Gramellini giornalista ha un grande senso dello Stato: l'Italia, gli italiani ce l'hanno? L'hanno mai avuto?

Gli italiani non hanno il senso dello Stato. Semmai è lo Stato che fa loro senso… A me è successo di venire sgridato da un hooligan in un parco di Londra perché avevo buttato una cartaccia fuori dal cestino. Un hooligan! Ma sentiva quel parco come casa sua. Per noi, invece, ciò che è di tutti non appartiene a nessuno.

8) Che cosa pensa di un anno di governo tecnico? E di Napolitano? Crede che ci abbia salvati da una deriva antidemocratica?

Il nesso fra crisi economica e derive autoritarie è scritto nella storia. Quando la politica perde prestigio e i cittadini non ne avvertono più l’utilità, il rischio della scorciatoia populista è altissimo. All’Italia manca un centrodestra occidentale. Berlusconi non assomiglia a Cavour, ma a Peron. Evita, naturalmente. Mi auguro che intorno a Monti possa finalmente nascere un centrodestra serio, europeo. Farebbe bene anche ai progressisti. Oggi il Pd è circondato da populismi. Ha bisogno di un avversario rispettoso e rispettabile. Un avversario che non sia un nemico.

9) Lei sta certamente dalla parte dei deboli, delle vittime: in questo momento storico gli italiani si sentono vittime di una classe politica truffaldina e che non li rappresenta. Avverte il rischio di un populismo che veda in singoli personaggi dei salvatori della Patria?



Ripeto: diffido dei populismi e delle scorciatoie. Ho smesso di credere ai cambiamenti sociali determinati dalla vittoria di questa o quella fazione, di questo o quel capetto. Chiunque va al potere ne viene prima o poi sedotto, deteriorato e divorato. Gli unici cambiamenti in cui credo ancora sono quelli interiori. Non voglio più eleggere salvatori della Patria, ma persone perbene che mi convincano con l’esempio, non con le parole.

10) Berlusconi torna a candidarsi: perché? Lo vede come una minaccia per la democrazia? Vede in lui il responsabile di un ventennio di sbandamento politico e morale?

Berlusconi è il prodotto del consumismo esasperato degli anni Ottanta e Novanta. Il suo messaggio è stato: più cose materiali possiedi, più sarai felice. Lui lo ha incarnato alla massima potenza. E infatti è invecchiato male, aggrappato alla chimera patetica della giovinezza infinita del corpo.



11) Parliamo di linguaggio scritto e parlato: quali sono i modi di dire e gli errori che proprio non sopporta nel giornalismo, nei libri, nella vita quotidiana?

Ho il terrore della frase sciatta. Per me la parola scritta non è una emozione ma un sentimento. Non un flusso continuo ed estemporaneo, come avviene sui social network, ma qualcosa di meditato, frutto di correzioni, tagli, riscritture. Soprattutto di tagli…


















domenica 9 dicembre 2012

Famosa per caso, scrittrice per scelta. Storia straordinaria di due donne straordinarie-Patrizia Cadau e Alessia Marcuzzi.


La storia di Patrizia Cadau è singolare esattamente come lei. Divenuta in poco più di un mese  il "fenomeno" di cui si sono occupati giornali di portata nazionale per aver sostenuto pubblicamente Alessia Marcuzzi, si è ritrovata al centro di un'inaspettata popolarità che le ha portato fan nella sua pagina personale (http://www.facebook.com/pages/Patrizia-Cadau/349126011851101?fref=ts), contatti fino al limite consentito da Facebook, interviste, proposte, regali. Ma Patrizia la conosco da tempo, ammiro la sua intelligenza acuta, la sua autoironia, la sua profondità, il suo essere donna in tutte le declinazioni possibili, il suo talento nella scrittura. Patrizia si lancia entusiasta in ogni impresa, rimanendo leggera, semplice, autentica ed è questo, a mio parere, che fa sì che chi l'ha scoperta per caso rimanga poi incollato al suo account, alla sua pagina  al suo blog. E ora anche al suo libro. Perché questa splendida quarantenne, madre di due figli, pedagogista, ligure-sarda o sarda-ligure, ha pubblicato il suo primo romanzo, "L'amore che ti sceglie", già vendutissimo on-line (ed è incredibile perché è un'autopubblicazione). Perché Patrizia è tutto quello che vuole essere.
In calce all'intervista, potrete leggere ciò che Alessia Marcuzzi pensa di lei.

1) Partiamo dall'inizio, Patrizia, nonostante te l'abbiano chiesto ormai a centinaia: come nasce la tua notorietà improvvisa su FB?

Ho scritto un post sulla condizione femminile, in relazione al fatto che troppo spesso quando ci si lascia e magari è la donna a prendere l'iniziativa, si scatena una lapidazione d'ingiuriosi epiteti, specialmente se la donna in questione è bella,autonoma, libera. Era un post senza riferimenti, Una semplice riflessione sulla mia bacheca, nata dopo avere visto gli insulti alla Marcuzzi sulla sua vita privata. Alessia Marcuzzi lo ha visto, e già incuriosita da un mio commento di solidarietà, lo ha condiviso. Dichiarandosi mia fan. E moltissime persone si sono riversate sulla mia pagina FB, hanno letto l'impossibile e mi hanno chiesto l'amicizia. In un paio di giorni qualche migliaia.

2) Vogliamo sfatare un mito che sta circolando? E cioè che non basta essere citati da un VIP per avere così tanti contatti e fan? Che cosa apprezzano in te i tuoi nuovi amici, perché continuano a seguirti?

Credo che l'onestà paghi. Parlo di onestà morale e intellettuale. Di autenticità: io sono così, scrivo penso e agisco nei contesti umani nello stesso modo. E il reale presuppone delle dinamiche umane non diverse da quelle cosiddette virtuali. Si creano affinità davanti all'uscita di scuola dei propri figli, o davanti ad un monitor, affinità che possono essere approfondite, per poi scoprire che non era proprio il caso, oppure non si creano affatto. Ma ciò che conta è che si viene a strutturare una relazione e le relazioni necessitano di fiducia, confidenza, genuinità. Altrimenti sono solo giochi di ruolo, nel senso inteso da Eric Berne.
 Io non scrivo per fare marchette, per compiacere, scrivo e parlo con assoluta libertà. Con argomentazioni e ragionevolezza credo. Scrivo le stesse battute che dico nel mio privato. Parlo del mio quotidiano, della mia fatica di donna, moglie madre, lavoratrice.
 E anche di una che nel tempo ha fatto il diavolo a quattro per scrivere qualcosa, perché lo scrittore in famiglia dà fastidio, ha ombre che lo seguono, annota cose su fazzoletti di carta, si assenta in un mondo suo, pretende silenzio, e nessuno ne vede mai un tornaconto. Quindi scatta la domanda "ma perché perdi tempo invece di giocare con me?" con conseguente senso di colpa insopportabile. 
Credo che tutto questo sia emerso e abbia convogliato su di me come prima cosa la curiosità, ma anche l'identificazione di tante donne come me, stanche di vedere la propria vita scorrere senza riuscire ad acchiappare il desiderio da realizzare, stanche di vedere la poca meritocrazia, i tanti modi in cui le donne normali sono pressate tutti i giorni,vittime di pretese assurde da parte di familiari, capuffici, datori di lavoro che non si rendono conto di quanto gravosi siano i pesi di una donna in quanto donna.

3) Hai finalmente pubblicato il tuo primo romanzo che io ho letto e che consiglio a tutti. Vogliamo dire in breve di che tratta?

E' la storia di una donna che scrive una lettera alla figlia appena nata. Una figlia inaspettata rifiutata dal padre, e che deve rimettere in discussione se stessa e il suo mondo per superare non solo i pregiudizi che l'accompagneranno ma anche diverse perdite. E' una donna che deve contestualmente affrontare diversi viaggi, quello dal luogo che le ha dato i natali verso quello delle sue radici (e questa è una componente autobiografica molto forte, il tema dell'identità e dell'appartenenza. Alla domanda "di dove sei?" non so mai cosa rispondere. Sono sarda in continente e ligure in Sardegna, il che girala come la vuoi ti dà sempre la sensazione di essere fuori luogo ovunque e di non stare mai a casa da nessuna parte, ma di essere liberi in ogni luogo).
 E' un libro a tinte forti, non nel senso erotico, ma perché è molto passionale, coraggioso. Almeno nella nostra cultura una donna come la protagonista di questa storia si porta addosso dei pregiudizi difficili da scardinare. E poi non mancano dei colpi di scena che non posso svelare, perché la lettera prende forma in più storie all'interno delle quali vengono svelati i percorsi e i nodi attorno a cui si muovono altre figure, e che determineranno delle scelte. Velatamente tocco anche il tema della separazione che ho approfondito nell'altro romanzo a cui ho lavorato. Ancora nel cassetto.

4) Parliamo della condizione della donna: a tuo modo di vedere è davvero ancora così problematica?

Si lo è. Finché continueremo a pensare che certe battute siano ironia e cameratismo da maschi, finché una donna si sentirà chiedere ad un colloquio di lavoro se intende avere figli, finché terremo il conto delle donne uccise, picchiate, denigrate dai propri compagni, in famiglia o altrove. Finché ad una premiazione letteraria sentiremo fare dal conduttore i complimenti al decolletè della vincitrice e non al suo libro, come se, in una dimensione contraria e parallela, una conduttrice dicesse ad un autore di un libro, appena nominato vincitore del premio x "complimenti, bel pacco", ecco, finché non ci saranno strutture adeguate per l'infanzia a tutela della maternità e dei bambini, finché un uomo sarà fico perché va ai Caraibi con una più giovane di lui, mentre una donna sarà una babbiona patetica e alla frutta in cerca di fermare l'orologio perché va ai Caraibi con un uomo più giovane, insomma finché tutto questo non sarà risolto, non basteranno girotondi e movimenti e "Se non ora quando". Simone de Beauvoir si sta rivoltando nella tomba e noi non abbiamo ancora capito nulla. 
E se ti guardi intorno, vedrai che non solo la condizione della donna è tragica: in maniera speculare lo è anche quella dei bambini. Le città sono malate di urbanesimo e impoverite di umanesimo, prive di spazi, luoghi e tempi per i piccoli, anzi i bambini sono percepiti come un fastidio, qualcosa da parcheggiare, alloggiati nel circuito delle nevrosi degli adulti, imbottiti di insoddisfazione e di programmi tv discutibili. L'unico diritto a cui pensano di potersi aggrappare le donne, l'unico che rivendicano con orgoglio e accanimento è quello dell'assegno di mantenimento. Se invece si accanissero su altre sfumature ( e non parlo di trilogia), forse non avrebbero neppure bisogno di quell'assegno, forti di un'autonomia contrattuale e non ricattatoria, matura e responsabile.

5) Il rapporto genitori-figli: che figlia sei stata? Che madre sei?

Sono stata una figlia ribelle e ingrata per i primi venticinque anni. Mio padre, un sottufficiale della guardia di Finanza ora in pensione, un uomo coriaceo, era per me un alieno. Non ci capivamo proprio e io mi ribellavo alla sua autorità. Un'autorità severa, impostata sul valore della disciplina, della responsabilità, del rispetto delle regole, del senso civico, della forza e della determinazione, del senso dello Stato. Mamma era il cuscinetto, diciamo la versione soft di papà. Adesso so che avevano ragione loro, e li guardo con estremo orgoglio e rispetto: alla fine però mi chiedo e continuo a chiedermi quanto di tutto questo mi sia servito. A guardarmi intorno, vedo gente sveglia, capace, che sopravvive con metodologie che a me sfuggono e di cui non saprei cosa fare, e come madre mi chiedo: ma è davvero giusto così? Non sarebbe meglio per i miei figli trasmettere come possibilità anche la scorciatoia? E' premura la mia, e anche paura. Semplicemente non voglio che soffrano. Ma alla fine credo di essere una madre che non può fare altro che trasmettere la sua cifra educativa, non posso essere qualcosa di diverso e i miei figli se ne accorgerebbero. E pure io non riuscirei a stare bene con me stessa.



6) Dici che è l'amore a sceglierti e non sempre lo fa per renderti felice: vogliamo spiegare un po' meglio questa tua affermazione?

Si, non siamo noi a scegliere l'amore. L'amore ti capita, ti aggredisce alle spalle, oppure ti scoppia dentro, arriva semplicemente anche in silenzio. Ma proprio perché è amore, se è amore, non può non portare con sé nella tua vita anche cose che non ti saresti aspettato. In amore devi scendere a compromessi, devi impegnarti ogni giorno perché la persona che ti sta a fianco stia bene, devi accettare situazioni difficili, percorsi ad ostacoli. Si acquisiscono delle responsabilità affettive ed emotive. A lungo andare, premettendo che in genere i bilanci non si fanno, uno tende ad analizzare la situazione e ci si accorge che no, certi amori sono costati troppo, sono stati amore, ma tormentati e quindi nell'insieme non ci hanno reso felici, non come avremmo voluto, non secondo le nostre aspettative. Eppure è amore. Ma non sempre regala la felicità idealizzata.

7) C'è differenza fra Patrizia mamma, scrittrice, moglie, personaggio amica? Quante donne sei?

Premetto. Io ho un talento puro per il cazzeggio: il che si ripercuote in tutti i miei ruoli. Anche quando scrivo la cosa più impegnativa del mondo, anche quando sono immersa in un lavoro che mi risulta difficile, non perdo mai dentro di me, questa costante che mi fa scantonare verso l'ironia e l'autoironia. Non mi riesce proprio di prendermi sul serio. Il che non vuole dire che io sia una persona superficiale, ma i diversi ruoli sono accomunati da questa attitudine. E dalla passione. Per il resto sono una sola donna coerente, che si muove diversamente in base al contesto in cui si trova. Quello che proprio non riesco ad essere è "un personaggio". In base alla vecchia "ma ci fa o c'è?" ci sono di mio.

8 ) Che cosa ti piace e che cosa non ti piace della popolarità raggiunta all'improvviso e come hanno reagito le persone che ti conoscono?

Parliamo di una micropopolarità: non oso pensare a chi si debba misurare quotidianamente con l'onda d'urto della folla. Devo anche chiarire che le persone che sono entrate in contatto con me, in qualche modo sono state filtrate. Voglio dire che, a parte il post di Alessia, le persone si sono avvicinate e prima di contattarmi hanno letto, sono entrati nella vita che lascio intravedere su web. Tra migliaia di persone posso contare due soggetti che mi hanno dato fastidio. Fino a poco tempo fa era online il mio telefono, avevo dimenticato di toglierlo, per dire. Ma nessuno si è permesso di usarlo. Per cui è una popolarità stimolante, piena di vita, che si è sintonizzata con me. A me queste persone piacciono da morire, mi fanno ridere, mi danno spunti, mi aiutano ad organizzare la pagina fan, e chi fa la grafica, e chi si occupa di comunicazione, e chi mi racconta della sua vita. E' una cosa bellissima. La vita la si racconta a qualcuno di cui fidarsi, o che pensi possa capirti anche solo leggendoti.
 Al momento non ho elementi negativi per dirti che cosa non mi piace, perché appunto è una popolarità circoscritta. E le persone che mi conoscono hanno reagito quasi tutte in modo strano: chi si sperticava in giuramenti d'amicizia eterna è sparito, chi non mi ha mai filata è comparso, in pochi mi hanno fatto gli auguri, molti hanno fatto finta che la cosa non gli interessasse, salvo poi chiedere a destra e a sinistra cosa stesse succedendo. L'entusiasmo vero e trainante è stato proprio di quelli che mi hanno conosciuta qui, e da un mese. Sono loro che mi hanno dato coraggio, quasi tutte donne, bellissime e piene di voglia di rivalsa, colte, coraggiose, capaci di gestire vite complesse e farci su pure una battuta.

9) Quali sono stati i giudizi più lusinghieri sulla tua opera e che cosa ti ha convinta a non mollare?

Ti racconto un aneddoto. Hai conosciuto Fulvio Fo ( fratello di Dario)?
Io manco sapevo che vivesse in Sardegna, e invece lui stava qui a due passi. Ebbe modo di ricevere il manoscritto originale di questo testo, e mi telefonò, così semplicemente. Si presentò e si scusò per avere osato disturbarmi (nel mentre io rischiai l'infarto), ma proprio non aveva potuto trattenersi. Aveva letto, secondo lui, una delle cose migliori degli ultimi anni, mi chiese di tutto, dove avessi imparato a scrivere così, mi disse che era semplicemente emozionato e mi ringraziava. Nacque un'amicizia, da cui imparai tantissimo. Una sera mi chiamò per dirmi che avrebbe presentato il suo nuovo libro a Cagliari al teatro Massimo, e si raccomandò moltissimo di fare di tutto per esserci perché ci teneva molto. Naturalmente andai, e lui mi venne incontro e mi abbracciò. Poi disse "Che onore, la grandissima scrittrice Patrizia Cadau", poi si girò verso la stampa attonita e confusa (ma chi diavolo è questa?) e disse, "non perdetela d'occhio, questa è una delle penne più belle in circolazione." Fu l'ultima volta che ci vedemmo: persi naturalmente un grande amico e una preziosa fonte di ricchezza per consigli, conoscenza, e così via. Ecco, ogni volta che ho pensato di rinunciare ho pensato al fatto che Fulvio credeva in me, e che in qualche modo dovevo ripagarlo, e farlo anche per me stessa.

10) Parliamo di linguaggio: usi vocaboli ricercati e curi molto la forma. Quali sono gli errori che non sopporti, quali i modi di dire che detesti?

Mi piace pensare alle cose che invece amo dire: le metafore, il turpiloquio contenuto in una forma forbita ed elegante. I modi che detesto sono tutti quelli che non rispettano la mia lingua, la pigrizia nel ricercare sinonimi, la dispersione di K come la semina in giugno. Quello che proprio mi irrita come un perizoma in cartavetrata è (a parte la consecutio temporum scompaginata), l'utilizzo dei verbi entrare e uscire in forma transitiva. Ho sentito cose tipo "scendimi il cane che lo piscio" che mi hanno quasi mandata al manicomio.

                                                    ALESSIA MARCUZZI




E, ora, prima di lasciare la parola ad Alessia Marcuzzi, devo necessariamente fare una premessa: non conoscevo Alessia se non come tutti voi, la consideravo un personaggio solare, una bellissima donna, forse anche simpatica, ma non la seguivo nel suo programma più famoso, "Grande fratello" (state alzando il sopracciglio, lo immagino). Ecco, Alessia Marcuzzi non è quella o, almeno, non è solo quella: è una donna unica, che, solo per un moto d'istintiva simpatia e gratitudine, ha permesso ad un'altra donna (che conosceva solo grazie ai suoi scritti) di avere grande popolarità. Siamo abituati a personaggi che sgomitano per un articolo su un giornale, si vendono e vendono la loro vita privata per una copertina, che mai darebbero spazio e visibilità ad un'altra. Scordate tutto questo: non è Alessia.E mettete, per favore, da parte ogni atteggiamento snobistico; va di moda parlare male del "Grande fratello"? Non l'ha ideato lei, lo conduce. Mi piacerebbe che gli autori trovassero un programma che sapesse mettere in luce le sue tante qualità, in modo da farla conoscere per quello che è. Forte, sensibile, generosa, bella, intelligente. Il suo gesto nei confronti di Patrizia ci dà la speranza in un futuro fatto di donne che si prendono per mano, che vanno avanti solo per i loro meriti, che si aiutano e sono solidali. E' una piccola storia questa, ma la morale mi pare importantissima: donne che si amano (mai) troppo. E io queste donne le amo. Grazie, Alessia.


1) Che cosa ti ha colpito in Patrizia donna e Patrizia scrittrice?

 Ho scoperto Patrizia fra le persone che mi scrivevano su facebook. Si era presa la briga di difendermi da una serie di insulti sulla gestione della mia vita sentimentale. In realta' la sua lettera era un modo per parlare a tutte le donne,in maniera molto intelligente e diretta...Ho aperto cosi' per la prima volta il suo profilo….ed ho scoperto un mondo. Ho condiviso la sua lettera,e piano piano e' scoppiato il caso Patrizia!!! Credo che le siano arrivate migliaia di richieste di amicizia e non sapeva bene come affrontare tutto questo afflusso di gente,che,  sì,e' arrivato tramite me, ma non e' certo andato via…anzi,e' aumentato sempre più'. Questo perché' lei' ha una dote incredibile:la grande comunicativita' e una grande intelligenza. Patrizia scrive romanzi,senza essere mai riuscita a pubblicarne uno (nonostante avesse ricevuto grandi consensi e apprezzamenti da tante case editrici), cosi' ha deciso di metterlo on line.Patrizia ha una gran testa,e' simpatica e cinica al punto giusto,ma soprattutto Patrizia e' una mamma e una moglie. Ecco " L'amore che ti sceglie",bellissimo....io ho pianto. 


 2) Avete entrambe dato testimonianza di solidarietà fra donne: è un primo passo per superare finalmente l'immagine di donne che si accapigliano fra di loro?

 Credo fortemente nella solidarietà femminile. Ho ed ho sempre avuto tante amiche, con loro e con le donne, in generale, mi trovo in totale sintonia e cerco di condividere tanti punti di vista della vita ,nonostante le differenze di cultura o ceto sociale. Noi donne abbiamo una marcia in più, forse perché abbiamo l'istinto materno che ci permette di conoscere meglio di chiunque altro il sacrificio e l'altruismo…. Non a caso ho scelto di aprire il mio fashion blog lapinella, proprio per avere un dialogo diretto col pubblico femminile che mi segue da tanti anni. 


 3) C'è un altro messaggio che mi pare stiate dando e che non sottovaluterei: è possibile andare avanti solo grazie al proprio merito?

 Certo che è possibile!  Forse ci vuole più tempo e tenacia ,ma quando poi raggiungi l'obbiettivo la soddisfazione è doppia ed impagabile…Credo lo stiamo dimostrando con i fatti più che a parole: se vogliamo noi donne possiamo davvero fare tutto, anche se con fatica. Siamo mamme, lavoratrici, compagne, amiche, sorelle: la strada è in salita ma il paesaggio che guarderemo, arrivate al traguardo, sarà incantevole. Proprio perché, tratto dopo tratto, l'avremo percorso 
grazie alle nostre sole forze.


lunedì 3 dicembre 2012

Tutto quello che avreste voluto sapere sulla TV- Intervista a Mariano Sabatini.



Mariano Sabatini ha la TV ormai mescolata al sangue: è stato autore televisivo, è critico, lavora in radio, partecipa a trasmissioni televisive, è scrittore e poi...Provate a guardare su Wikipedia, c'è da perdersi di fronte alla sua esperienza. Oggi potete leggere le sue critiche televisive sul portale di Tiscali, sul blog "Televisionando" e seguire la sua rubrica di recensione di libri su Idearadio. Se il successo di una persona si misura dai suoi nemici, Mariano è ai primi posti: odiato e perfino querelato perché la sua penna non risparmia nessuno. "E' la tv, bellezza" è il suo ultimo libro, edito da Lupetti, un volume prezioso per barcamenarsi fra quanto ci viene offerto da tutte le reti, il meglio e il peggio, da cui il sottotitolo "Se la conosci la eviti". 


1) Leggendo il tuo libro, si ha la sensazione che la TV dei nostri giorni non ti piaccia, soprattutto rispetto a quella del passato. E' così?

La gran parte della tv, certo, non mi piace. Ma non sono apocalittico (il riferimento è alla celebre definizione di Eco n.d.r.). La tv di ieri, ossia degli anni Cinquanta o Sessanta o Settanta, era migliore perché lo erano le persone che la ideavano e realizzavano. Dagli anni Ottanta in qua, con l’avvento delle emittenti private, e poi con Berlusconi al governo da metà anni Novanta c’è stato un netto scadimento dell’idea di società e quindi dei costumi. La peggiore eredità del berlusconismo è la perdita di pudore. La televisione di oggi ha perso i freni inibitori, in nome della pubblicità e dell’Auditel si compie ogni efferatezza. Perciò il mio libro è raccomandato a quanti vogliono capire i mutamenti sociologici attraverso il piccolo schermo.

2)  Le critiche più feroci riguardano la TV del dolore: vedi un antecedente significativo nella tragedia di Alfredino Rampi e poi un ulteriore spartiacque con l'11 Settembre. Come dovrebbe, secondo te, la TV trattare fatti di attualità del genere e c'è una differenza fra Rai e tutte le altre reti?

Non c’è grande differenza. I salottini al sangue della Venier, al di là dei toni, non si differenziano da quelli della tanto Barbara D’Urso o di “Quarto grado”. Mentre troppo spesso “Chi l’ha visto?” si trasforma in “Chi l’ha ucciso?”. Quello che risulta insostenibile sono le soap costruite attorno ai fattacci di cronaca nera, con ex annunciatrici, giallisti, preti, attricette che dicono il loro “secondo me” sui delitti, vicende umane palpitanti che meriterebbero maggior rigore e rispetto. È il giornalismo improntato al “cosa prova”, emozionale e non basato sui fatti. Precede non solo le sentenze e le indagini ma anche le notizie. Per questo genere di cronaca basterebbero i tg, oppure le trasmissioni di Franca Leosini, scientifica nella scelta e nel racconto dei casi.

3) Ci sono alcuni personaggi che ricorrono nelle tue critiche, Maurizio Costanzo, ad esempio, come l'emblema di chi non sa e non vuole andare "in pensione". Anche la TV ha bisogno di una 'rottamazione' e che cosa pensi degli eterni lai di Pippo Baudo?

Non dovrebbe esserci rottamazione, nel senso che i personaggi dovrebbero poter lavorare finché incontrano l’apprezzamento del pubblico oppure, se fanno scelte alte e in controtendenza, possono occupare fasce di palinsesto meno ambite, magari su reti di minore visibilità. Dopo aver provato e riprovato nel pomeriggio di Raiuno, tanto per dire Costanzo ora si è spostato alla notte e su Rai Storia. Baudo si è proposto in prima serata su Raitre, forse a tarda sera avrebbe dato risultati migliori. I professionisti che, pur rappresentando pezzi di storia della tv, non mostrano di voler cedere il passo rasentano il patetismo. 

4) Ti occupi di approfondimento politico e non lesini elogi a Santoro, allo stesso tempo hai accolto favorevolmente lo spazio riservato a Ferrara: si può essere equidistanti nei giudizi nonostante le proprie idee politiche?

Si può essere leali, si deve esserlo. Santoro e Ferrara sono dichiaratamente faziosi e in questo senso  non ingannano il pubblico, chi li segue sa cosa aspettarsi da loro. L’obbiettività non esiste, perché anche raccontando i semplici fatti si compiono delle scelte in base a sensibilità, cultura, posizioni politiche… L’onestà giornalistica sta nel non apparire diversi da ciò che si è e da ciò che si offre al pubblico.

5) Hai toccato alcuni "intoccabili", Fiorello, ad esempio. Esistono davvero gli intoccabili per un critico televisivo e possiamo guidare chi ci legge a riconoscere chi siano attraverso una disamina delle critiche fatte da altri nomi illustri?

Per me non esistono intoccabili e l’ho dimostrato attirandomi le ironie di Fiorello su Twitter e di Aldo Grasso. Il valentissimo critico del Corriere della Sera, dopo la mia partecipazione a “Uno mattina in famiglia” dove sollevavo dei dubbi su “#ilpiùgrandespettacolodopoilweekend”, ha detto che lo showman  siciliano stava salvando Raiuno e che quella che avevamo espresso era tutta invidia. Mai sognato di fare l’intrattenitore o l’animatore di villaggi. Ecco, forse Fiorello è per Grasso un intoccabile.

6) Usi un linguaggio che non è affatto "popolare", con citazioni colte e vocaboli talora desueti: il tuo pubblico ti ha sempre seguito? Non temi di perdere lettori?

Non ci ho mai pensato. Pensa che mia moglie, insegnante di latino e greco, sostiene che scrivo in modo troppo giornalistico. Oltre a doverle spiegare che quando guardo la tv sto lavorando, devo anche difendermi dalla sua matita rossoblu. Comunque i lettori non si inseguono e nessuno mi ha mai scritto per avere delucidazioni su un termine o un passaggio oscuro. Le citazioni non sono per lo sfoggio delle letture fatte, semmai vogliono essere esplicative, segnalare ascendenze o familiarità drammaturgiche.

7) Lamenti l'assenza dalla TV di alcuni personaggi: Luttazzi, Rispoli e Sampò per citare i primi nomi. Chi altri manca? Sono tutti vittime di censura?

Sampò e Rispoli sono considerati vecchi, invece credo che potrebbero dare il loro apporto, se adeguatamente collocati. Su Luttazzi pesa ancora l’editto bulgaro. Alla tv di oggi manca solo Corrado Guzzanti, che appare di tanto in tanto su Sky con la sua satira alta, lontana dalla cronaca e dunque illuminante. E poi sono spariti, e mi chiedo perché, Oreste De Fornari e Gloria De Antoni, Carla Urban, Gianni Minà.

8 ) 8)Come hanno reagito i personaggi "feriti" dai tuoi fulmini: qualcuno si è vendicato? Si sono mai rivolti ai giornali per cui lavori per tappare la tua "boccaccia"?

È successo spesso. Simona Ercolani mi ha aggredito poco elegantemente per strada, Salvo Sottile mi ha querelato per un pezzo apparso sul portale di Tiscali. Non credo a chi dice che la critica deve essere costruttiva, è una sciocchezza. Altrimenti un critico farebbe il direttore di rete o l’autore o il life coach. Una recensione deve essere argomentata, bisogna spiegare il perché un programma non ci piace o perché viceversa lo apprezziamo. Tutto qui, senza infingimenti. In questo senso mi riconosco in una definizione che Barbara Alberti ha dato di me: “il più cattivo dei cattivi, perché troppo buono per dire bugie”. 

9) Auspichi dei programmi affidati a Travaglio e Sgarbi. Chi sono gli altri personaggi che, secondo te, sono sottovalutati e in cui intravedi un buon potenziale?

Se solo dimenticasse la politica, Sgarbi sarebbe un grande divulgatore di arte e letteratura. Travaglio è televisivamente maturo e potrebbe viaggiare in autonomia da Santoro. Darei un programma ad Antonio Caprarica. Mi piacciono molto Dario Vergassola, Geppi Cucciari, Teresa Mannino. Il problema sono le idee e gli autori perché i programmi tendono ad assomigliarsi un po’ tutti.



10) Chi invece toglieresti e subito dallo schermo? (Giusto per non farti altri nemici).

Non toglierei nessuno d’imperio. Mi piacerebbe che i telespettatori cominciassero a fare scelte consapevoli, senza assecondare il guardonismo da tamponamento. Vi sarà capitato in autostrada di dovervi stare in coda per via di un incidente e del sangue che tutti vogliono vedere. Stessa cosa accade in tv, davanti ad una rissa o a un programma di cronacaccia.

11) Se non dovessi guardare la TV per mestiere, quali programmi seguiresti? E quali vorresti invece che venissero trasmessi?

Quando non devo scrivere accedo la tv solo per quei programmi che mi incuriosiscono. Certamente i tg, i serial stranieri, i film, i documentari… Ma il problema non è tanto l’offerta, quanto la sua fruizione passiva. La tv è uno strumento neutro, l’uso che ne facciamo fa la differenza. 

12) Uno sguardo alla TV dei bambini: accusi spesso il MOIGE di intervenire in modo inopportuno. Quali programmi tu ritieni diseducativi e quali credi dovrebbero essere trasmessi?

Sarebbe giusto tornare ad una tv pensata dai ragazzi e non fatta dai ragazzi. Per fare un esempio, “Ti lascio una canzone” snatura l’ingenuità dei minori, costringendoli a misurarsi in prima serata, dunque dinanzi ad una platea vastissima, con testi scritti per interpreti adulti. Sono costretti a scimmiottare sentimenti, passioni, emozioni che non conoscono se non per sentito dire e con cui entrano in contatto anzitempo, per esigenze di spettacolo. 

13) Riguardo all'uso della figura femminile in TV non apprezzi programmi come "Bisturi", ma in generale la donna in TV ti sembra abbia un ruolo pari a quello maschile?

No, hanno un ruolo predominante, mi passi il paradosso. Le presentatrici delle prime serate hanno un potere pari, se non superiore, a quello di un direttore di tg e sono di più rispetto ai colleghi uomini. Spariti Baudo, Tortora, Bongiorno, Corrado, è la stagione di Marcuzzi, Perego, D’Urso, Panicucci, Clerici, Ventura.

-Figure quali le "veline" mortificano la femminilità? E qual è la differenza con le vallette mute di Mike Bongiorno?

Premesso che Ricci potrebbe scegliere di eliminarle e “Striscia la notizia” non perderebbe in appeal, non mi pare che nessuno le obblighi a quel ruolo. Ballano, conducono televendite su cui Bongiorno ha costruito la seconda parte della sua carriera, si mostrano nella loro avvenenza, prendono confidenza con il mezzo in un gruppo altamente professionale e in futuro potranno aspirare al ruolo di presentatrice. Sono passati tanti anni da quando esserci, seppure in un ruolo silente o quasi, era per la Maltagliati o la Ciuffini un modo per affermare il diritto di accesso alle telecamere. Oggi le donne possono, come giusto e ovvio, aspirare a qualsiasi ruolo ed ottenerlo. Basta che lo vogliano e facciano delle scelte coerenti. Mi piacerebbe che le donne cominciassero, tanto per dire, a criticare le donne di cui non condividono le aspirazioni o le svolte professionali, rompendo il tabù dell’inviolabilità che le porta a scagliarsi esclusivamente contro il maschio dominatore. Il panorama è cambiato, servono osservatrici nuove.

14) La TV è ancora vista, secondo te, come un mezzo da non guardare (o da fare di nascosto) dai cosiddetti intellettuali? Se sì, come giudichi questo atteggiamento?

Snobistico. Perché quando gli intellettuali, da Beniamino Placido ad Alessandro Baricco, si sono avvicinati al mezzo e si sono sporcati le mani sono nate cose pregevoli. “Pickwik” rimane l’esempio più recente di programma che tentava di diffondere il virus della lettura, parlando di classici e non facendo markette editoriali.

15) Parliamo del linguaggio televisivo: hai collaborato con Rispoli e il grande professore Beccaria. Non ti piace l'eloquio di Bonolis, i suoi neologismi, ma chi secondo te maltratta di più la Lingua italiana, quali sono i vocaboli che vorresti fossero aboliti?

Più che altro Bonolis parla come se un attimo prima di andare in onda compulsasse il vocabolario alla ricerca di termini desueti, non si avverte sedimentazione nel suo eloquio. Le parole si dovrebbero scegliere per denotare o connotare ciò che si intendere esprimere, non per stupire. Bonolis s’innamora di formulette finto colte, che nella reiterazione diventano stucchevoli, e le ripete fino alla nausea di chi lo ascolta: “vecchio conio”, “qualora lo vogliate”, etc. In generale in tv si parla male, con grande scialo di attimini, aiutini, quant’altro, a me colpisce… Ci avete fatto caso? I fiumi ora esondano, nessuno si azzarda a dire che straripano. Davanti a un delitto è sempre giallo. Le frasi fatte denunciano una grande pigrizia linguistica.

-Chi ti sembra che usi un linguaggio almeno più decoroso in TV?

Per fortuna ci sono i virtuosi della lingua: Corrado Augias, Michele Mirabella, Enrico Mentana, Giuliano Ferrara, anche Bruno Vespa.  

16) Lamenti una generale mancanza di idee e un ricorso continuo a format già esistenti. Mariano Sabatini che programma proporrebbe e a chi lo farebbe condurre?

Con Montale questo solo possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo… Non faccio l’autore, non più, né il direttore di rete. Ma voglio sbilanciarmi, diciamo allora che non realizzerei programmi culturali, metterei piuttosto cultura in tutti i generi televisivi. Cercherei di cooptare scrittori, artisti, intellettuali tipo Angelo Guglielmi nella realizzazione dei programmi. Chiederei a Virzì di inventare una fiction, a Benigni di pensare a un gioco sui libri, a Bergonzoni o ad Ascanio Celentini di scrivere un varietà. Farei più esperimenti, perché il male della televisione è la coazione a ripetersi a cui si condanna. 




sabato 24 novembre 2012

Donne che amano mostri

Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne è a te donna, che mi rivolgo perché i mali si sconfiggono all'origine e la violenza, lasciata da sola senza la complicità, è sconfitta, come la mafia, come le guerre se il nemico è da solo. Tu, madre, sorella, moglie, compagna, guardalo quell'uomo che si nutre di odio, che vomita rancore, che cerca una vendetta a quella che, ti racconta, è stata un'ingiustizia subìta, una ferita che deve essere curata procurando dolore. E' tuo figlio, è tuo fratello, è tuo amico, ma non è così che dimostri di amarlo, assecondando la sua follia, non così. Non dargli ragione sempre, non alimentare il suo bisogno di rivalsa, non abbassare la testa, non unirti a lui gridando "Puttana, puttana" se lei l'ha lasciato. Non l'aiuti, non lenisci il suo dolore, stai solo creando un mostro. Che perseguiterà, instancabile, che arriverà alla violenza, all'assassinio mentre tu continui a dirgli che sì, ha ragione. Lo so, il tuo istinto è di proteggerlo, nessuna di noi vorrebbe mai ammettere che quell'uomo che ama, che magari ha nutrito fin da appena nato è capace di perseguitare, violentare, annientare, ammazzare, ma ogni uomo nasce da una donna e da lei impara il rispetto dovuto alle altre donne. Se lo ami davvero non assecondarlo, sii tu a preservarlo dalla sua follia, sii tu a non renderti complice di un crimine che non ha giustificazioni, nessuna e mai. E tu, moglie, compagna, fidanzata, smetti, per favore, di accettare di essere violentata fisicamente e psicologicamente, smetti di essere devastata da lui credendo che, in qualche modo, tu sei la causa di quella violenza, che tu potrai cambiarlo, che se ti maltratta è perché ti ama ma non sa esprimerlo, perché ha tanto sofferto, perché nessuno gli ha dato l'affetto che meritava, perché...Non ci sono perché: chi ti ama non ti fa male, chi ti ama ti vuole felice, chi ti ama ti vuole vedere sorridere. Scappa da un essere del genere, corri e vai a denunciarlo, perché, dopo di te, sarà la volta di un'altra: non permetterlo.Guardatelo il vostro figlio, fratello, amico, compagno, marito e dite no. Salvate lui, voi stesse e tutte le altre donne.

mercoledì 15 agosto 2012

La sofferenza amorosa: perché e come guarire- Intervista al dott. Ghezzani.


"So che non è l'uomo adatto a me, ma lo amo", "Non riesco a fare a meno di cercarlo/a", "Soffro tanto perché lo /la amo": non so più quante volte, ormai, ho sentito pronunciare queste frasi (quasi sempre da donne, ma è solo perché gli uomini solitamente pensano che soffrire per un amore sia una forma di debolezza), oserei affermare che non ho mai conosciuto una sola donna che, in tutta la sua vita, almeno una volta non abbia affrontato il dolore di cercare disperatamente un uomo che l'ha umiliata, che, più o meno apertamente, le ha dimostrato la sua indifferenza, che non ha pianto e meditato vendette o ritorsioni contro sé stessa, che non ha insistito cocciutamente a volere proprio colui che le ha detto di no. Un fenomeno che, mi pare, ha assunto caratteristiche e dimensioni preoccupanti, ma che non riesce ad acquistare la dignità che solitamente si dà ad altri dolori: perché l'amore è confinato nello spazio dei sentimenti da donnuccia, perché ci sono problemi più seri al mondo di cui occuparsi, perché se una storia è finita metti un punto e non parlarne più. Nicola Ghezzani è uno psicologo e psicoterapeuta che ha dedicato anni del suo lavoro ad affrontare l'argomento, a sviscerarlo, a studiarlo con estremo rigore scientifico. Lo intervisto, dopo aver visitato il suo sito e dopo aver letto i suoi libri; le sue risposte portano nuove domande, desiderio di approfondire, conoscere, chiedere ancora. Ho cercato di mantenere un tono divulgativo e lo ringrazio per avermi seguita in questa mia scelta in modo da poter raggiungere il pubblico più vasto e chi non è sufficientemente a conoscenza di psicologia, psicoterapia e teorie ad esse legate. Faccio precedere l'intervista da una pagina tratta dal suo sito; vengono elencati, in maniera schematica, i sintomi della dipendenza affettiva. So che è difficile per ognuno di noi riconoscere di essere dipendenti, ma la lettura individuale serve proprio a questo: confessarsi cose che non si ammetterebbero mai con gli altri e, dopo, cercare un aiuto.

I SINTOMI DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA

I sintomi correlati alla dipendenza affettiva sono numerosi e complessi. In sintesi questi che elenco qui di seguito sono i più consueti (l’ordine in cui li enumero segue una logica di progressiva “gravità”):
  • Paura di essere inadeguati a meritare o mantenere un importante legame affettivo.
  • Senso generale di disistima in se stessi e particolarmente per ciò che riguarda la propria amabilità umana e/o intelligenza o attrattiva sentimentale e sessuale.
  • Idealizzazione della persona amata la cui sola vicinanza è in grado di fornire benessere al dipendente innamorato.
  • Elargizione d’amore a senso unico, fino al limite del collasso psicofisico da stress.
  • Sottomissione caratteriale e tolleranza verso gli aspetti “negativi” della persona amata.
  • Dolore angoscioso o depressivo ad ogni separazione o possibile abbandono.
  • Tendenza ad assumersi le colpe nelle crisi di rapporto.
  • Ansia e attacchi di panico relativi a dubbi, conflitti o crisi inerenti il rapporto di dipendenza.
  • Bisogno di controllare la persona amata in ogni suo momento e in ogni suo movimento, così come anche in ogni suo pensiero.
  • Gelosia morbosa, ossessiva.
  • Riduzione progressiva dei contatti affettivi e sociali a favore del rapporto di dipendenza.
  • Rabbia e disperazione all’idea che il partner possa “godersi la vita” senza l’innamorato.
  • Compulsione a seguire e talvolta minacciare e perseguitare la persona amata che sfugge al controllo sentimentale.
  • Naturalmente, questi sintomi non sono tutti presenti in modo simultaneo. Lo sono in modo discontinuo, e secondo la struttura personalità di ciascuno. Per esempio, l’ultimo sintomo (la persecuzione del partner) riguarda solo le strutture di personalità gravemente isteriche o borderline, che sono abbastanza rare.




    Domanda: Lei parla di "amore passionale", descrivendo quel particolare tipo di legame che potremmo chiamare dipendente. Ma si può chiamare "amore"?

    Risposta: No, in effetti non è questa la mia teoria. Ho elaborato la mia teoria dell'amore e dei sentimenti di relazione nel corso della stesura di cinque libri: Volersi male (2002), Quando l'amore è una schiavitù (2006), L'amore passionale (2010), La paura di amare (2012) e Grammatica dell'amore (2012). Nei miei libri io distinguo nettamente la dipendenza affettiva dall'amore passionale. L'amore passionale (o amore erotico) si realizza allorché sentiamo il bisogno di superare il nostro io per entrare nell'estasi erotica, quindi, successivamente, il bisogno di superare il nostro interesse egoistico per andare verso il bene della persona amata. Quando questa unione perfetta (che può durare alcuni istanti o una vita intera) si realizza, abbiamo la percezione che la nostra vita e il mondo intero siano cambiati. Si realizza ciò che Francesco Alberoni nelal sua opera ha chiamato Stato nascente (con Alberoni collaboro al progetto editoriale “La scienza dell'amore” e stiamo per fondare una Associazione sullo studio dei sentimenti di relazione e della coppia). Lo stato nascente è un fenomeno simile alla rivelazione ed è proprio dell'innamoramento come anche delle rivoluzioni mistiche o sociali. In stato nascente noi siamo felici, gioiosi, non proviamo né angoscia né odio. La dipendenza affettiva è invece una infatuazione (quindi non è amore) dai tratti ossessivi e paranoici. La persona della quale siamo infatuati è quella sbagliata, ma non riusciamo ad ammetterlo, sicché ci ostiniamo a volerla possedere, talvolta fino alla soppressione nostra o della persona desiderata. Cioè fino al masochismo o al sadismo persecutorio. I sentimenti che la accompagnano sono di desiderio ansioso e febbrile e di angoscia, di delusione e di odio.

    Domanda: Il problema della dipendenza affettiva è "esploso" con Robin Norwood e "Donne che amano troppo": crede che da allora più donne abbiano preso coscienza della patologia e gli uomini ne sono affetti allo stesso modo?

    Risposta: Il libro della Norwood ha avuto il pregio di mostrare al mondo intero l'esistenza di una patologia della dipendenza amorosa. Naturalmente, i tecnici la conoscevano già, ma il libro, grazie alla potenza del mercato (che è dominato dalla cultura anglosassone), l'ha rivelata a tutti e alla donne in modo particolare. La Norwood, però, non riesce a fare una psicodinamica del fenomeno, si limita a descriverlo attraverso la sua casistica, che è molto ricca e molto drammatica. Si tratta di casi femminili, perché sono i più visibili e spesso i più drammatici. Ma ne esistono tantissimi maschili, che la Norwood ignora. Sono di due tipi: una dipendenza affettiva passiva, obbediente, remissiva (come la gran parte di quella femminile); e una invece aggressiva, possessiva, manipolatoria, talvolta violenta. La dipendenza affettiva va il più delle volte letta come co-dipendenza, e unisce in un nodo complesso due partner con disturbi complementari. La co-dipendenza è un fenomeno ampio e prevede sia il caso “tipico” in cui un uomo perseguita una donna, ma anche il caso in realtà non meno frequente (anche se di solito meno tragico) in cui la donna è aggressiva e manipolatoria e l'uomo remissivo.

    Domanda: Lei parla di dipendenza che ha le stesse fattezze di una droga, con conseguenti crisi d'astinenza (Norwood ne parlava metaforicamente e rivolgendosi principalmente all'alcool), ma diverge la soluzione al problema: lei non dice di allontanarsi dalla sostanza tossica ma di cercarla dentro di sé: crede che questi due approcci differenti significhino che Norwood elimina il sintomo, lei la malattia? E quanto può essere pericoloso attuare questo percorso da soli?

    Risposta: La Norwood non ha un suo specifico percorso psicoterapeutico, in realtà si affida alla già affermata tecnica dei “dodici passi”, che in principio, alla sua nascita, riguardava solo i casi di alcolismo. Io ho ideato un metodo psicoterapeutico specifico, che cerca di individuare il nodo di paura e di colpa relativo al riconoscere l'errore di idealizzare la persona sbagliata, di giudicarla per ciò che è e di abbandonarla. La separazione è resa ardua da angosce, spesso di natura infantile, relative all'atto di negare la validità dell'amato, di giudicarlo come la persona sbagliata, e infine di rifiutarlo. Cose che non si sono potute fare nemmeno con uno o l'altro genitore, subìto e idealizzato. Ma la mancanza di questo processo di verità ha prodotto nel bambino e poi nell'adulto una personalità ostinata e remissiva allo stesso tempo, impaurita dalla propria lucidità e dalla propria libertà. In questo senso guarire non significa semplicemente allontanarsi dall'agente patogeno, ma maturare, crescere, conoscersi, padroneggiare fino in fondo la propria vita emotiva.
    Il percorso di guarigione si può fare da soli? In qualche misura sì. Ci vuole molto coraggio e accettare il rischio di sbagliare molte volte. Ma non è proprio per questo che esistono i tecnici, cioè per aiutarci ad evitare di sbagliare e di soffrire ancora? L'ostinazione a fare da soli potrebbe essere parte del problema stesso.

           Domanda: Parlando di dipendenza affettiva lei sostiene che un rapporto ha componenti di odio che devono essere esternate, rese chiare innanzitutto a sé stessi: qualunque rapporto è un misto di odio ed amore o solo quelli patologici?

    Risposta: Un pizzico di odio può esistere anche nei rapporti sani. Quando pensiamo che l'amato ci si neghi in modo intenzionale, oppure quando siamo gelosi. Ma l'odio nell'amore vero può esistere solo come odio per il mondo, per qualcosa di esterno alla coppia, se no la coppia muore. Nella dipendenza affettiva invece l'odio per il partner c'è sempre: perché la persona desiderata è anche quella sbagliata, quindi l'odio nasce dalla delusione, ma da una delusione non ammessa e trasformata in volontà di possesso o di vendetta.

    Domanda: Dopo aver fatto chiarezza sulla natura del rapporto lei parla di "veridizione" come ultimo passo: questo dialogo con il partner è sempre necessario? Anche dopo aver capito che la relazione è deleteria?


    Risposta: la veridizione è una antica tecnica filosofica e ha senso finché colui al quale diciamo la verità è per noi una autorità sovrana. E' un atto di onestà intellettuale e morale che necessita che l'altro sia per noi importante e che noi vogliamo cambiarlo. Quindi ha senso finché noi amiamo il nostro partner o comunque desideriamo ristabilire attraverso di lui una verità etica. Quando il rapporto cessa di essere importante è fondamentale riconoscere questo annullamento, questa fine, quindi diviene inutile continuare il confronto. Se no, se non lo facciamo, stiamo mentendo a noi stessi, ci stiamo ingannando rispetto all'effettiva importanza che quella persona ha per noi. 

     Domanda: Che cosa contraddistingue un rapporto sano? La sua realizzazione avviene attraverso una negoziazione continua?

    Risposta: nella prima fase non c'è negoziazione, c'è solo identità perfetta, due esseri umani fusi in uno. Quindi armonia assoluta. L'estasi erotica ce lo rappresenta con una chiarezza totale. Questa armonia assoluta è il fondamento dell'amore, se non la si è sperimentata, l'amore non c'è. Poi, in una seconda fase, ciascuno ha la facoltà di rientrare in se stesso, nella sua identità. Qui è necessario capire che siamo di nuovo in due, uniti ma anche separati. Quindi per ricomporre l'unità originaria, dobbiamo negoziare. E saperlo fare. E' qui che, in genere, i rapporti falliscono. C'è troppo individualismo, orgoglio, facilità ad accusare l'altro: una volta usciti dall'anima dell'altro non ci si vuole più rientrare. Negoziazione significa che mi muovo dall'altro per arrivare a me, non il contrario.

    Domanda: La parte più interessante, a mio avviso, del suo lavoro sui sensi di colpa e le forme di dipendenza che portano al masochismo è il porre la radice del problema non nell'individuo (con i suoi presunti o veri traumi) bensì nella società, soprattutto per ciò che concerne il ruolo della donna: cambiare quest'ordine non diviene così molto più complicato investendo la società tutta? Come può il singolo contrapporsi ad un intero sistema?

    Risposta: come ho detto, non è solo la donna ad essere dipendente, lo è chi vuole amare, ma non si rende conto che per amare occorre totale disponibilità ad essere liberi e a lasciar libero colui che si ama. Amare significa saper individuare qualcuno che vuole il tuo bene, quindi che vuole che tu sia libero, libero di essere e di esprimerti, e fare lo stesso con lui. Questo vuol dire che nella nostra psiche c'è un'antitesi netta fra amore e servitù sociale. L'amore nega la servitù sociale, nega che il proprio amato possa essere asservito a chiunque, anche a colui che l'ama. L'amore è liberazione.
    Al contrario, la dipendenza affettiva perpetua la servitù dietro l'apparenza dell'amore. In questo caso colui che “ama” desidera legare a sé il suo amato, non lo vuole libero e felice, lo vuole a suo servizio. Ed è disposto ad essere il suo servo pur di ottenere la sua servitù. In questo senso la dipendenza affettiva colpisce soprattutto le donne: esse sono state educate sin da piccole (e da millenni) a barattare la propria libertà con la certezza del legame, con la sicurezza. L'asservimento della donna a questo modello è visibile nel corso della storia, quindi in un mio libro, Quando l'amore è una schiavitù (2006), lo ho trattato con dovizia di particolari. L'asservimento dell'uomo è meno visibile, ma esiste anche quello.

    Domanda: Ha l'impressione che i legami di dipendenza siano divenuti molto più diffusi nella società attuale? Se sì, quale spiegazione dà del fenomeno?

    Risposta: nel mondo contemporaneo, mondo economicista e competitivo, c'è molto più individualismo; quindi, come ho suggerito in La paura di amare (2012), la paura di restare soli con il proprio egoismo spinge le persone ad accettare qualsiasi legame, anche quelli sbagliati. A questo punto, la difficoltà di ammettere l'errore compiuto e il senso di colpa relativo alla tentazione di abbandonare il partner sbagliato costringono a perpetuare il legame. Allora il conflitto interno fra il ritorno all'egoismo solitario e la dipendenza affettiva diventa un'ossessione senza via d'uscita. Un “gioco senza fine”.

    Domanda: Alle persone che soffrono di questa patologia quali sono, secondo lei, i consigli da dare che leniscano il dolore? In sostanza, come ci si disamora? Con il tempo, con la distanza, occupando la mente con altro, razionalizzando?

    Risposta: mettendo a fuoco la differenza fra amore e infatuazione. Chi ha conosciuto l'amore almeno una volta nella vita (le assicuro che si tratta di un evento più raro di quanto si pensi) sa che l'amore è estasi, gioia, felicità. Nel vero amore l'angoscia di perdita viene lenita dall'amante, che innanzitutto desidera il bene del suo partner, quindi non lo tormenta mai. Anzi, se può, gli risparmia ogni pena, ogni sofferenza, esita persino a rimproverarlo quando è giusto. Nell'infatuazione ossessiva invece la sofferenza è costante e anima fantasmi di odio: odio di se stessi o dell'altro.
    Quindi, primo consiglio, innanzi tutto mettere a fuoco che si tratta di infatuazione, di un legame ingannevole e patologico. Poi, secondo consiglio, occorre focalizzare il divario fra i propri bisogni e ciò che il partner può o vuole dare: la asimmetria del rapporto, l'oggettiva riduzione in schiavitù. Poi, terzo consiglio, si tratta di cogliere l'analogia con esperienze del passato, anche non erotiche (come il rapporto con un genitore). Infine, bisogna saper confidare sulla capacità dell'amore di cercare nuovi oggetti, quindi sull'impossibilità della solitudine (che è tanto temuta).
    Questo che ho descritto è il processo in termini molto generali; è ovvio che la tecnica è complessa e articolata e non si può descrivere in poche righe. Per questa, rimando ai miei cinque libri, che ho già citato.

        Domanda: Nei suoi scritti parla spesso di libertà e di realizzazione di sé: non teme che si possa arrivare alla totale anarchia sociale?

    Risposta: bisogna distinguere fra libertà e liberismo, fra individuazione e individualismo. Sono cose totalmente diverse. L'individualismo e il liberismo sono ideologie secondo le quali l'altro essere umano è un limite alla mia libertà, quindi per essere libero io posso solo o negare l'altro essere umano e fare a meno di lui, oppure, peggio, asservirlo ai miei bisogni. In questo senso la libertà si configura come anarchia totale e lotta di tutti contro tutti (questa visione del mondo giustifica Hobbes a suggerire la necessità di uno Stato forte). Al contrario la libertà umana implica in se stessa l'integrazione con l'altro essere umano. Essere libero di amare significa aver bisogno di un altro essere umano; essere libero di star solo significa avere dentro di me l'umanità che mi fa compagnia anche in solitudine. In questo senso, il concetto junghiano di individuazione implica la consapevolezza che la libertà non è nulla senza la società nella quale posso effettivamente esprimerla. Per questo nei miei libri ho corretto il concetto junghiano con l'idea che esistano anche una individuazione duale e una sociale, cioè una realizzazione personale che mi vede coinvolto assieme a una persona amata o a un gruppo.

    Domanda: Fra le tendenze masochiste in qualche modo lei cita la promiscuità, quale tentativo apparente di libertà della donna: la sessualità non dovrebbe essere, secondo lei, vissuta senza coinvolgimenti affettivi?

    Risposta: La sessualità può essere vissuta senza coinvolgimento affettivo, ma non necessariamente “deve” esserlo. Sessualità senza coinvolgimento vuol dire piacere edonistico, erotismo, orgia. Non ha nulla a che fare con l'amore, che invece necessita di un coinvolgimento totale, di una “libera schiavitù”. Non c'è niente di sbagliato né in una cosa né nell'altra, ma la confusione tra i due fenomeni è servita solo a censurare l'esistenza dell'amore e a creare un'umanità cinica e solitaria. Come aveva ben intuito Michel Foucault prima di morire, che su questo concetto aveva fondato la sua analisi biopolitica della sessualità moderna.

    Domanda: Uomini e donne sono diversi e i loro "ruoli" sono decisamente cambiati negli ultimi anni: esistono dei nuovi ruoli in cui possano identificarsi o bisogna pensare a modelli dinamici e sempre intercambiabili?

    Risposta: L'intercambiabilità è meno importante della reciprocità. Il mito moderno della intercambiabilità è una forma sottile e “politicamente corretta” di riproposizione della schiavitù. Lo schiavo è intercambiabile, l'essere umano libero è invece unico e insostituibile. Nell'amore questa unicità è la base della reciprocità. Nell'amore abbiamo bisogno di quella persona che ci completa e ci è complementare, non di un'altra. I coniugi senza amore e gli schiavi sono complementari fra loro e col padrone, e sono intercambiabili. Servono l'uno all'altro e possono essere sostituiti. Gli amanti sono complementari, ma non possono mai essere sostituiti, mai. L'amore esalta l'unicità della persona, il suo valore assoluto.

    Domanda: Si può guarire in maniera definitiva dalla patologia della dipendenza amorosa e, se sì, questo percorso include una psicoterapia individuale? I gruppi di sostegno che ci sono nei social network o i vari manuali in libreria sono realmente d'aiuto?

    Risposta: E' la ricchezza della coscienza, della consapevolezza, che ci guarisce. Più siamo ricchi di consapevolezza sulla vita, sui sentimenti, sulle passioni, più siamo liberi. Quindi va bene tutto, psicoterapia, gruppi di mutuo aiuto, social network, lettura. Purché ampli la nostra coscienza e ci renda liberi dall'ovvietà e dalla povertà delle soluzioni.

    Come psicoterapeuta dico che in certi periodi difficili della nostra vita è bene sapersi affidare a una guida illuminata: l'apprendimento e l'imitazione sono alla base della natura umana. Bisogna avere fiducia in questa nostra capacità di apprendere e di migliorarci attraverso l'esempio di amici e di maestri. Allora uno psicoterapeuta, un compagno di gruppo, un buon libro possono essere il “maestro spirituale” giusto, quello che attendevamo, la sciabolata di luce nel buio fitto dell'ignoranza. L'importante è che l'insegnamento arrivi sempre – appunto – grazie al medium dell'amore.
    Per approfondire questi e altri argomenti, invito a leggere, oltre che i miei libri, anche i miei due siti: