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martedì 1 gennaio 2013

La scrittura e l'indipendenza femminile-Intervista a Carmen Covito


Quando si parla di Carmen Covito inevitabilmente il pensiero va a "La bruttina stagionata", il best-seller che l'ha resa nota al grande pubblico. Giustamente, aggiungo. Perché il romanzo affrontava una tematica nuova da un punto di vista originale e  la scrittura di Carmen era ricca, precisa, pungente, ironica, capace di toccare ogni corda della sensibilità umana, come solo pochi grandi scrittori sanno fare. Carmen torna con "Le ragazze di Pompei", edito da Barbera, in un romanzo ambientato nell'antica Roma; ciò ovviamente ti conduce in un binario diverso, l'affresco storico che tanto ricorda il "Satyricon", ma è solo un'impressione superficiale. Carmen è la stessa, nel senso che, ancora una volta, è nuova e sorprendente; che, ancora una volta, ti guida nelle emozioni attraverso uno stile rigoroso ma divertito; che, ancora una volta, con levità e profondità insieme ti porta ad interrogarti sul ruolo della donna, riuscendo a rendere attualissimo un periodo storico così lontano eppure così vicino alle nostre radici. E lasciandoti con l'interrogativo, dilaniante in questi tempi, sul percorso sociale della donna, sul suo ruolo, sul suo presente e il suo futuro, su un cambiamento che un occhio lucido non può non avvertire che volga indietro. La scrittura di Carmen è questo, ma è anche molto di più e chi non l'avesse letta si è perso la possibilità di incontro con un grande autore contemporaneo.

1) "La bruttina stagionata" è stato un successo editoriale incredibile, nuovo per le caratteristiche della protagonista e le sue "avventure". Il messaggio che ne ho tratto è che la donna, al di là dell'età e dell'avvenenza, può essere tutto quello che vuole. E mi sembra tanto in questi tempi dominati dallo stereotipo dell'eterna giovinezza e beltà. E' questo che volevi trasmettere? 

Naturalmente, non volevo trasmettere messaggi: volevo raccontare una storia, e la storia era quella del disagio che prova una donna nel sentirsi giudicata solo – o prima di tutto - per il suo aspetto, quando ha molte altre qualità. Dato che io non sono tagliata per i drammi, ne ho fatto una commedia, ma una commedia aspra, dura come le sfide che ci tocca sostenere ogni giorno. Per una donna affermare la propria identità è quasi peggio che lavare i piatti: una faccenda ripetitiva, che la fai oggi e la devi rifare domani, una noia che non finisce mai, perché non esistono lavastoviglie mentali in cui ficcare tutta una società maschilista. 

2) Sempre in riferimento a "La bruttina stagionata" si legge un'istanza d'indipendenza molto forte. Credi che le donne, da allora, abbiano fatto dei passi avanti? Se no, a che cosa imputi questo stallo?

A volte mi riesce difficile credere che dall’uscita di quel libro siano passati vent’anni. Siamo ancora lì, anzi la situazione è peggiorata, oggi siamo al femminicidio come pratica non eccezionale, per non dire quasi normale. In Italia, non c’è il minimo dubbio sulla responsabilità di questa situazione: il berlusconismo ha affossato ogni principio di progresso, imponendo un’immagine arcaica della donna, tutta sesso e giovinezza, o tutta sesso e chirurgia estetica. Ha rigettato un’intera generazione di donne in una mentalità da schiave, obbligate a compiacere questo o quel padrone per strappargli un regalo, una carriera, una poltrona ministeriale o la pura sopravvivenza. Adesso bisogna ricominciare, raccogliere i cocci, ricostruire, ma che fatica... 

3) "Le ragazze di Pompei" è un romanzo molto particolare: lo ambienti nell'antica Roma, facendo quasi respirare l'atmosfera che vi regnava. E' un tuo omaggio alla storia? Hai voluto in qualche modo far avvicinare il lettore ad una conoscenza più approfondita delle nostre origini?
Per la verità, quelle non sono tanto le nostre origini ma proprio le mie... Io sono nata lì, sul sito dell’antica Stabia, dove c’erano delle gran belle ville romane che furono distrutte dalla stessa eruzione che seppellì Pompei e Ercolano, ed è praticamente da sempre che avevo voglia di scrivere un romanzo ambientato in quell’epoca, ma mi ero sempre scontrata con un problema di stile. Come lo racconti il passato? Con che lingua? Come fai a evitare l’effetto peplum e a non ritrovarti subito nella scena madre di Quo Vadis? Alla fine ho trovato la soluzione ricordandomi il piccolo shock culturale che avevo provato da piccola, vedendo per la prima volta in una vetrina di museo gli oggetti quotidiani trovati negli scavi, il cibo carbonizzato ma perfettamente riconoscibile: il pane, le olive, i cucchiai, le brocche...  cose leggermente diverse dalle nostre eppure uguali, familiari. La scommessa è stata quindi quella di ridare vita agli antichi romani facendoli parlare come noi, ma senza perdere questa impercettibile sfasatura data dalle differenze storiche, di mentalità, di pensiero, tra noi e loro. 


4) Le donne di "Le ragazze di Pompei" sono anche loro piuttosto indipendenti ma sembra che la vera differenza la faccia la cultura. Credi che sia così anche oggi? L'indipendenza è un fattore culturale o un'esigenza innata?

Facciamo una premessa: senza cultura non ci può essere indipendenza. E questo lo possiamo dire in molti modi, per esempio possiamo dire che senza informazione non c’è libertà, ma abbiamo detto la stessa cosa. Nel romanzo, immagino che la figlia di un libraio abbia il sogno di creare un’accademia per insegnare filosofia alle ragazze di Pompei, ma mi sono permessa di immaginarlo perché nella realtà storica di quell’epoca c’erano davvero donne colte, brillanti, e c’erano soprattutto donne economicamente indipendenti, bottegaie, artigiane, piccole o grandi imprenditrici. Non ci hanno raccontato direttamente le loro storie perché le convenzioni non lo permettevano, ma hanno lasciato molte tracce concrete di attività, e per raccontarle basta saperle leggere.  

5) In entrambi i tuoi libri, le figure maschili sono deboli e in secondo piano, schiacciate dalla forza di quelle femminili: è una tua precisa scelta? Gli uomini sono davvero più deboli e vigliacchi delle donne?

Suppongo che questa sia una domanda retorica. Posso appellarmi alla facoltà di non rispondere? :-)


6) Ho letto che hai ricevuto feroci critiche maschili dopo "La bruttina stagionata": che cosa avevi messo in crisi? Perché si sono tanto risentiti? E le donne, invece, come hanno reagito?

Non erano critiche: erano telefonate anonime, e anche piuttosto minacciose.Ho fatto togliere il mio numero dall’elenco, ma prima di capire perché mai quei maschi anonimi ce l’avessero con me ho dovuto pensarci parecchio. Evidentemente, li disturbava l’atteggiamento della protagonista del romanzo, che guarda e giudica gli uomini,  non si lascia trattare da oggetto ma si fa soggetto attivo, e arriva a usare il sesso come strumento di conoscenza. Inutile dire che le donne invece hanno reagito benissimo. Anzi, mi capitava di sentire delle lettrici giovani e bellissime che mi dicevano di essersi identificate con la protagonista, e io trasecolavo e dicevo, “Ma sei matta?”. Evidentemente, ero andata a toccare un punto sensibile di tutte le donne: non siamo mai sicure di noi stesse. A differenza degli uomini, che tendono ad essere sicuri di sé anche, e soprattutto, quando non ne hanno motivo.

7) Esiste, secondo te, un modo femminile di raccontare o è uno stereotipo discriminante? Tu che cosa leggi?

Non credo nella differenza di genere applicata alla letteratura, anzi non credo molto nemmeno nei generi letterari. Credo, semmai, che esista una maniera femminile di vedere le cose che può rivelare aspetti inediti della realtà, ma non diversamente da come può fare qualunque altro sguardo marginale, eccentrico rispetto a quella realtà. Spesso le donne hanno ancora l’occhio  dell’immigrato, dello straniero, dell’alieno. Un occhio rivelatore, l’occhio che vede quanto è nudo il re. Quanto a me, purché siano libri belli e interessanti, leggo di tutto e di tutti.

8) Ti occupi di cultura giapponese: c'è una differenza fra la donna italiana e quella giapponese come mentalità, modo di vivere, modo di essere considerata?

La società giapponese è indubbiamente maschilista, ma non molto più della nostra. E a differenza della nostra ha sempre riconosciuto alle donne un posto di rilievo nella produzione di opere letterarie: il Dante Alighieri giapponese è una donna, la dama di corte Murasaki Shikibu, autrice del romanzo “Genji Monogatari”. Adesso ne abbiamo finalmente una magnifica traduzione in italiano (ad opera di un’altra donna, la professoressa Maria Teresa Orsi: Murasaki Shikibu, “La storia di Genji”, Einaudi 2012)) e se volete capire la cultura giapponese vi raccomando di leggerlo! 


9) Parliamo di linguaggio: quali sono i modi di dire, gli errori grammaticali e ortografici che più ti fanno inorridire? Credi che, in generale, oggi si scriva e parli meglio o peggio che in passato?

Sto conducendo una battaglia personale contro il verbo “posizionare”, che mi fa letteralmente rabbrividire, ma temo che ormai sia una battaglia persa, perché l’ho visto infiltrarsi anche in austeri saggi accademici. Purtroppo, ha ancora ragione il vecchio Baldassar Castiglione: a decidere il destino di una lingua è l’uso. Le parole straniere, i neologismi, gli errori, transitano per i nostri discorsi come le merci attraversano i territori: alcune risulteranno utili e si fermeranno, altre scompariranno e nessuno le rimpiangerà. 

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