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mercoledì 15 agosto 2012

La sofferenza amorosa: perché e come guarire- Intervista al dott. Ghezzani.


"So che non è l'uomo adatto a me, ma lo amo", "Non riesco a fare a meno di cercarlo/a", "Soffro tanto perché lo /la amo": non so più quante volte, ormai, ho sentito pronunciare queste frasi (quasi sempre da donne, ma è solo perché gli uomini solitamente pensano che soffrire per un amore sia una forma di debolezza), oserei affermare che non ho mai conosciuto una sola donna che, in tutta la sua vita, almeno una volta non abbia affrontato il dolore di cercare disperatamente un uomo che l'ha umiliata, che, più o meno apertamente, le ha dimostrato la sua indifferenza, che non ha pianto e meditato vendette o ritorsioni contro sé stessa, che non ha insistito cocciutamente a volere proprio colui che le ha detto di no. Un fenomeno che, mi pare, ha assunto caratteristiche e dimensioni preoccupanti, ma che non riesce ad acquistare la dignità che solitamente si dà ad altri dolori: perché l'amore è confinato nello spazio dei sentimenti da donnuccia, perché ci sono problemi più seri al mondo di cui occuparsi, perché se una storia è finita metti un punto e non parlarne più. Nicola Ghezzani è uno psicologo e psicoterapeuta che ha dedicato anni del suo lavoro ad affrontare l'argomento, a sviscerarlo, a studiarlo con estremo rigore scientifico. Lo intervisto, dopo aver visitato il suo sito e dopo aver letto i suoi libri; le sue risposte portano nuove domande, desiderio di approfondire, conoscere, chiedere ancora. Ho cercato di mantenere un tono divulgativo e lo ringrazio per avermi seguita in questa mia scelta in modo da poter raggiungere il pubblico più vasto e chi non è sufficientemente a conoscenza di psicologia, psicoterapia e teorie ad esse legate. Faccio precedere l'intervista da una pagina tratta dal suo sito; vengono elencati, in maniera schematica, i sintomi della dipendenza affettiva. So che è difficile per ognuno di noi riconoscere di essere dipendenti, ma la lettura individuale serve proprio a questo: confessarsi cose che non si ammetterebbero mai con gli altri e, dopo, cercare un aiuto.

I SINTOMI DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA

I sintomi correlati alla dipendenza affettiva sono numerosi e complessi. In sintesi questi che elenco qui di seguito sono i più consueti (l’ordine in cui li enumero segue una logica di progressiva “gravità”):
  • Paura di essere inadeguati a meritare o mantenere un importante legame affettivo.
  • Senso generale di disistima in se stessi e particolarmente per ciò che riguarda la propria amabilità umana e/o intelligenza o attrattiva sentimentale e sessuale.
  • Idealizzazione della persona amata la cui sola vicinanza è in grado di fornire benessere al dipendente innamorato.
  • Elargizione d’amore a senso unico, fino al limite del collasso psicofisico da stress.
  • Sottomissione caratteriale e tolleranza verso gli aspetti “negativi” della persona amata.
  • Dolore angoscioso o depressivo ad ogni separazione o possibile abbandono.
  • Tendenza ad assumersi le colpe nelle crisi di rapporto.
  • Ansia e attacchi di panico relativi a dubbi, conflitti o crisi inerenti il rapporto di dipendenza.
  • Bisogno di controllare la persona amata in ogni suo momento e in ogni suo movimento, così come anche in ogni suo pensiero.
  • Gelosia morbosa, ossessiva.
  • Riduzione progressiva dei contatti affettivi e sociali a favore del rapporto di dipendenza.
  • Rabbia e disperazione all’idea che il partner possa “godersi la vita” senza l’innamorato.
  • Compulsione a seguire e talvolta minacciare e perseguitare la persona amata che sfugge al controllo sentimentale.
  • Naturalmente, questi sintomi non sono tutti presenti in modo simultaneo. Lo sono in modo discontinuo, e secondo la struttura personalità di ciascuno. Per esempio, l’ultimo sintomo (la persecuzione del partner) riguarda solo le strutture di personalità gravemente isteriche o borderline, che sono abbastanza rare.




    Domanda: Lei parla di "amore passionale", descrivendo quel particolare tipo di legame che potremmo chiamare dipendente. Ma si può chiamare "amore"?

    Risposta: No, in effetti non è questa la mia teoria. Ho elaborato la mia teoria dell'amore e dei sentimenti di relazione nel corso della stesura di cinque libri: Volersi male (2002), Quando l'amore è una schiavitù (2006), L'amore passionale (2010), La paura di amare (2012) e Grammatica dell'amore (2012). Nei miei libri io distinguo nettamente la dipendenza affettiva dall'amore passionale. L'amore passionale (o amore erotico) si realizza allorché sentiamo il bisogno di superare il nostro io per entrare nell'estasi erotica, quindi, successivamente, il bisogno di superare il nostro interesse egoistico per andare verso il bene della persona amata. Quando questa unione perfetta (che può durare alcuni istanti o una vita intera) si realizza, abbiamo la percezione che la nostra vita e il mondo intero siano cambiati. Si realizza ciò che Francesco Alberoni nelal sua opera ha chiamato Stato nascente (con Alberoni collaboro al progetto editoriale “La scienza dell'amore” e stiamo per fondare una Associazione sullo studio dei sentimenti di relazione e della coppia). Lo stato nascente è un fenomeno simile alla rivelazione ed è proprio dell'innamoramento come anche delle rivoluzioni mistiche o sociali. In stato nascente noi siamo felici, gioiosi, non proviamo né angoscia né odio. La dipendenza affettiva è invece una infatuazione (quindi non è amore) dai tratti ossessivi e paranoici. La persona della quale siamo infatuati è quella sbagliata, ma non riusciamo ad ammetterlo, sicché ci ostiniamo a volerla possedere, talvolta fino alla soppressione nostra o della persona desiderata. Cioè fino al masochismo o al sadismo persecutorio. I sentimenti che la accompagnano sono di desiderio ansioso e febbrile e di angoscia, di delusione e di odio.

    Domanda: Il problema della dipendenza affettiva è "esploso" con Robin Norwood e "Donne che amano troppo": crede che da allora più donne abbiano preso coscienza della patologia e gli uomini ne sono affetti allo stesso modo?

    Risposta: Il libro della Norwood ha avuto il pregio di mostrare al mondo intero l'esistenza di una patologia della dipendenza amorosa. Naturalmente, i tecnici la conoscevano già, ma il libro, grazie alla potenza del mercato (che è dominato dalla cultura anglosassone), l'ha rivelata a tutti e alla donne in modo particolare. La Norwood, però, non riesce a fare una psicodinamica del fenomeno, si limita a descriverlo attraverso la sua casistica, che è molto ricca e molto drammatica. Si tratta di casi femminili, perché sono i più visibili e spesso i più drammatici. Ma ne esistono tantissimi maschili, che la Norwood ignora. Sono di due tipi: una dipendenza affettiva passiva, obbediente, remissiva (come la gran parte di quella femminile); e una invece aggressiva, possessiva, manipolatoria, talvolta violenta. La dipendenza affettiva va il più delle volte letta come co-dipendenza, e unisce in un nodo complesso due partner con disturbi complementari. La co-dipendenza è un fenomeno ampio e prevede sia il caso “tipico” in cui un uomo perseguita una donna, ma anche il caso in realtà non meno frequente (anche se di solito meno tragico) in cui la donna è aggressiva e manipolatoria e l'uomo remissivo.

    Domanda: Lei parla di dipendenza che ha le stesse fattezze di una droga, con conseguenti crisi d'astinenza (Norwood ne parlava metaforicamente e rivolgendosi principalmente all'alcool), ma diverge la soluzione al problema: lei non dice di allontanarsi dalla sostanza tossica ma di cercarla dentro di sé: crede che questi due approcci differenti significhino che Norwood elimina il sintomo, lei la malattia? E quanto può essere pericoloso attuare questo percorso da soli?

    Risposta: La Norwood non ha un suo specifico percorso psicoterapeutico, in realtà si affida alla già affermata tecnica dei “dodici passi”, che in principio, alla sua nascita, riguardava solo i casi di alcolismo. Io ho ideato un metodo psicoterapeutico specifico, che cerca di individuare il nodo di paura e di colpa relativo al riconoscere l'errore di idealizzare la persona sbagliata, di giudicarla per ciò che è e di abbandonarla. La separazione è resa ardua da angosce, spesso di natura infantile, relative all'atto di negare la validità dell'amato, di giudicarlo come la persona sbagliata, e infine di rifiutarlo. Cose che non si sono potute fare nemmeno con uno o l'altro genitore, subìto e idealizzato. Ma la mancanza di questo processo di verità ha prodotto nel bambino e poi nell'adulto una personalità ostinata e remissiva allo stesso tempo, impaurita dalla propria lucidità e dalla propria libertà. In questo senso guarire non significa semplicemente allontanarsi dall'agente patogeno, ma maturare, crescere, conoscersi, padroneggiare fino in fondo la propria vita emotiva.
    Il percorso di guarigione si può fare da soli? In qualche misura sì. Ci vuole molto coraggio e accettare il rischio di sbagliare molte volte. Ma non è proprio per questo che esistono i tecnici, cioè per aiutarci ad evitare di sbagliare e di soffrire ancora? L'ostinazione a fare da soli potrebbe essere parte del problema stesso.

           Domanda: Parlando di dipendenza affettiva lei sostiene che un rapporto ha componenti di odio che devono essere esternate, rese chiare innanzitutto a sé stessi: qualunque rapporto è un misto di odio ed amore o solo quelli patologici?

    Risposta: Un pizzico di odio può esistere anche nei rapporti sani. Quando pensiamo che l'amato ci si neghi in modo intenzionale, oppure quando siamo gelosi. Ma l'odio nell'amore vero può esistere solo come odio per il mondo, per qualcosa di esterno alla coppia, se no la coppia muore. Nella dipendenza affettiva invece l'odio per il partner c'è sempre: perché la persona desiderata è anche quella sbagliata, quindi l'odio nasce dalla delusione, ma da una delusione non ammessa e trasformata in volontà di possesso o di vendetta.

    Domanda: Dopo aver fatto chiarezza sulla natura del rapporto lei parla di "veridizione" come ultimo passo: questo dialogo con il partner è sempre necessario? Anche dopo aver capito che la relazione è deleteria?


    Risposta: la veridizione è una antica tecnica filosofica e ha senso finché colui al quale diciamo la verità è per noi una autorità sovrana. E' un atto di onestà intellettuale e morale che necessita che l'altro sia per noi importante e che noi vogliamo cambiarlo. Quindi ha senso finché noi amiamo il nostro partner o comunque desideriamo ristabilire attraverso di lui una verità etica. Quando il rapporto cessa di essere importante è fondamentale riconoscere questo annullamento, questa fine, quindi diviene inutile continuare il confronto. Se no, se non lo facciamo, stiamo mentendo a noi stessi, ci stiamo ingannando rispetto all'effettiva importanza che quella persona ha per noi. 

     Domanda: Che cosa contraddistingue un rapporto sano? La sua realizzazione avviene attraverso una negoziazione continua?

    Risposta: nella prima fase non c'è negoziazione, c'è solo identità perfetta, due esseri umani fusi in uno. Quindi armonia assoluta. L'estasi erotica ce lo rappresenta con una chiarezza totale. Questa armonia assoluta è il fondamento dell'amore, se non la si è sperimentata, l'amore non c'è. Poi, in una seconda fase, ciascuno ha la facoltà di rientrare in se stesso, nella sua identità. Qui è necessario capire che siamo di nuovo in due, uniti ma anche separati. Quindi per ricomporre l'unità originaria, dobbiamo negoziare. E saperlo fare. E' qui che, in genere, i rapporti falliscono. C'è troppo individualismo, orgoglio, facilità ad accusare l'altro: una volta usciti dall'anima dell'altro non ci si vuole più rientrare. Negoziazione significa che mi muovo dall'altro per arrivare a me, non il contrario.

    Domanda: La parte più interessante, a mio avviso, del suo lavoro sui sensi di colpa e le forme di dipendenza che portano al masochismo è il porre la radice del problema non nell'individuo (con i suoi presunti o veri traumi) bensì nella società, soprattutto per ciò che concerne il ruolo della donna: cambiare quest'ordine non diviene così molto più complicato investendo la società tutta? Come può il singolo contrapporsi ad un intero sistema?

    Risposta: come ho detto, non è solo la donna ad essere dipendente, lo è chi vuole amare, ma non si rende conto che per amare occorre totale disponibilità ad essere liberi e a lasciar libero colui che si ama. Amare significa saper individuare qualcuno che vuole il tuo bene, quindi che vuole che tu sia libero, libero di essere e di esprimerti, e fare lo stesso con lui. Questo vuol dire che nella nostra psiche c'è un'antitesi netta fra amore e servitù sociale. L'amore nega la servitù sociale, nega che il proprio amato possa essere asservito a chiunque, anche a colui che l'ama. L'amore è liberazione.
    Al contrario, la dipendenza affettiva perpetua la servitù dietro l'apparenza dell'amore. In questo caso colui che “ama” desidera legare a sé il suo amato, non lo vuole libero e felice, lo vuole a suo servizio. Ed è disposto ad essere il suo servo pur di ottenere la sua servitù. In questo senso la dipendenza affettiva colpisce soprattutto le donne: esse sono state educate sin da piccole (e da millenni) a barattare la propria libertà con la certezza del legame, con la sicurezza. L'asservimento della donna a questo modello è visibile nel corso della storia, quindi in un mio libro, Quando l'amore è una schiavitù (2006), lo ho trattato con dovizia di particolari. L'asservimento dell'uomo è meno visibile, ma esiste anche quello.

    Domanda: Ha l'impressione che i legami di dipendenza siano divenuti molto più diffusi nella società attuale? Se sì, quale spiegazione dà del fenomeno?

    Risposta: nel mondo contemporaneo, mondo economicista e competitivo, c'è molto più individualismo; quindi, come ho suggerito in La paura di amare (2012), la paura di restare soli con il proprio egoismo spinge le persone ad accettare qualsiasi legame, anche quelli sbagliati. A questo punto, la difficoltà di ammettere l'errore compiuto e il senso di colpa relativo alla tentazione di abbandonare il partner sbagliato costringono a perpetuare il legame. Allora il conflitto interno fra il ritorno all'egoismo solitario e la dipendenza affettiva diventa un'ossessione senza via d'uscita. Un “gioco senza fine”.

    Domanda: Alle persone che soffrono di questa patologia quali sono, secondo lei, i consigli da dare che leniscano il dolore? In sostanza, come ci si disamora? Con il tempo, con la distanza, occupando la mente con altro, razionalizzando?

    Risposta: mettendo a fuoco la differenza fra amore e infatuazione. Chi ha conosciuto l'amore almeno una volta nella vita (le assicuro che si tratta di un evento più raro di quanto si pensi) sa che l'amore è estasi, gioia, felicità. Nel vero amore l'angoscia di perdita viene lenita dall'amante, che innanzitutto desidera il bene del suo partner, quindi non lo tormenta mai. Anzi, se può, gli risparmia ogni pena, ogni sofferenza, esita persino a rimproverarlo quando è giusto. Nell'infatuazione ossessiva invece la sofferenza è costante e anima fantasmi di odio: odio di se stessi o dell'altro.
    Quindi, primo consiglio, innanzi tutto mettere a fuoco che si tratta di infatuazione, di un legame ingannevole e patologico. Poi, secondo consiglio, occorre focalizzare il divario fra i propri bisogni e ciò che il partner può o vuole dare: la asimmetria del rapporto, l'oggettiva riduzione in schiavitù. Poi, terzo consiglio, si tratta di cogliere l'analogia con esperienze del passato, anche non erotiche (come il rapporto con un genitore). Infine, bisogna saper confidare sulla capacità dell'amore di cercare nuovi oggetti, quindi sull'impossibilità della solitudine (che è tanto temuta).
    Questo che ho descritto è il processo in termini molto generali; è ovvio che la tecnica è complessa e articolata e non si può descrivere in poche righe. Per questa, rimando ai miei cinque libri, che ho già citato.

        Domanda: Nei suoi scritti parla spesso di libertà e di realizzazione di sé: non teme che si possa arrivare alla totale anarchia sociale?

    Risposta: bisogna distinguere fra libertà e liberismo, fra individuazione e individualismo. Sono cose totalmente diverse. L'individualismo e il liberismo sono ideologie secondo le quali l'altro essere umano è un limite alla mia libertà, quindi per essere libero io posso solo o negare l'altro essere umano e fare a meno di lui, oppure, peggio, asservirlo ai miei bisogni. In questo senso la libertà si configura come anarchia totale e lotta di tutti contro tutti (questa visione del mondo giustifica Hobbes a suggerire la necessità di uno Stato forte). Al contrario la libertà umana implica in se stessa l'integrazione con l'altro essere umano. Essere libero di amare significa aver bisogno di un altro essere umano; essere libero di star solo significa avere dentro di me l'umanità che mi fa compagnia anche in solitudine. In questo senso, il concetto junghiano di individuazione implica la consapevolezza che la libertà non è nulla senza la società nella quale posso effettivamente esprimerla. Per questo nei miei libri ho corretto il concetto junghiano con l'idea che esistano anche una individuazione duale e una sociale, cioè una realizzazione personale che mi vede coinvolto assieme a una persona amata o a un gruppo.

    Domanda: Fra le tendenze masochiste in qualche modo lei cita la promiscuità, quale tentativo apparente di libertà della donna: la sessualità non dovrebbe essere, secondo lei, vissuta senza coinvolgimenti affettivi?

    Risposta: La sessualità può essere vissuta senza coinvolgimento affettivo, ma non necessariamente “deve” esserlo. Sessualità senza coinvolgimento vuol dire piacere edonistico, erotismo, orgia. Non ha nulla a che fare con l'amore, che invece necessita di un coinvolgimento totale, di una “libera schiavitù”. Non c'è niente di sbagliato né in una cosa né nell'altra, ma la confusione tra i due fenomeni è servita solo a censurare l'esistenza dell'amore e a creare un'umanità cinica e solitaria. Come aveva ben intuito Michel Foucault prima di morire, che su questo concetto aveva fondato la sua analisi biopolitica della sessualità moderna.

    Domanda: Uomini e donne sono diversi e i loro "ruoli" sono decisamente cambiati negli ultimi anni: esistono dei nuovi ruoli in cui possano identificarsi o bisogna pensare a modelli dinamici e sempre intercambiabili?

    Risposta: L'intercambiabilità è meno importante della reciprocità. Il mito moderno della intercambiabilità è una forma sottile e “politicamente corretta” di riproposizione della schiavitù. Lo schiavo è intercambiabile, l'essere umano libero è invece unico e insostituibile. Nell'amore questa unicità è la base della reciprocità. Nell'amore abbiamo bisogno di quella persona che ci completa e ci è complementare, non di un'altra. I coniugi senza amore e gli schiavi sono complementari fra loro e col padrone, e sono intercambiabili. Servono l'uno all'altro e possono essere sostituiti. Gli amanti sono complementari, ma non possono mai essere sostituiti, mai. L'amore esalta l'unicità della persona, il suo valore assoluto.

    Domanda: Si può guarire in maniera definitiva dalla patologia della dipendenza amorosa e, se sì, questo percorso include una psicoterapia individuale? I gruppi di sostegno che ci sono nei social network o i vari manuali in libreria sono realmente d'aiuto?

    Risposta: E' la ricchezza della coscienza, della consapevolezza, che ci guarisce. Più siamo ricchi di consapevolezza sulla vita, sui sentimenti, sulle passioni, più siamo liberi. Quindi va bene tutto, psicoterapia, gruppi di mutuo aiuto, social network, lettura. Purché ampli la nostra coscienza e ci renda liberi dall'ovvietà e dalla povertà delle soluzioni.

    Come psicoterapeuta dico che in certi periodi difficili della nostra vita è bene sapersi affidare a una guida illuminata: l'apprendimento e l'imitazione sono alla base della natura umana. Bisogna avere fiducia in questa nostra capacità di apprendere e di migliorarci attraverso l'esempio di amici e di maestri. Allora uno psicoterapeuta, un compagno di gruppo, un buon libro possono essere il “maestro spirituale” giusto, quello che attendevamo, la sciabolata di luce nel buio fitto dell'ignoranza. L'importante è che l'insegnamento arrivi sempre – appunto – grazie al medium dell'amore.
    Per approfondire questi e altri argomenti, invito a leggere, oltre che i miei libri, anche i miei due siti:




     
     


giovedì 14 giugno 2012

La Chiesa ha inventato la pubblicità?- Intervista a Bruno Ballardini.


Bruno Ballardini è una delle menti più brillanti che mi sia capitato d'incontrare. Autore di un libro stravenduto,    "Gesù lava più bianco", porta avanti una tesi che non solo è geniale ma constatabile da tutti.
Da Wikipedia: " L'idea originaria del libro nasce da una dichiarazione di monsignor Ernesto Vecchi, il 2 ottobre 1997. Rispondendo alla domanda "La Chiesa ha preso lezioni di marketing?", questi rispose:"Scherziamo? La Chiesa può solo darne di lezioni. Il marketing? Ha cominciato Gesù, già duemila anni fa».[2] Prendendo spunto da questa frase, l'autore si propone di rintracciare - da San Paolo all'elezione di Papa Benedetto XVI - la storia delle tecniche pubblicitarie messe a punto dalla Chiesa cattolica allo scopo di smontarne le dottrine, i rituali e tutta l'impalcatura teologica su cui essa stessa poggia. Ricostruendo passo passo la secolare capacità di comunicazione delle alte gerarchie ecclesiastiche ne svela i retroscena soggiacenti alla propaganda e al pragmatismo religiosi, offrendo un contributo interdisciplinare (sociologico, etnologico, antropologico e psicologico) per una lettura alternativa della Chiesa cattolica romana, che egli definisce come una azienda dai metodi pubblicitari più efficaci e più intrusivi della storia occidentale.
Bruno Ballardini individua 5 punti strategici di marketing, con cui spiega il successo planetario della Chiesa cattolica:
  1. un logo riconoscibile da tutti: la croce
  2. punti vendita ai quattro angoli del pianeta: le chiese
  3. campagne pubblicitarie sapientemente orchestrate a partire dalla Casa-Madre: la Basilica di san Pietro
  4. un direttore generale riverito: il Papa
  5. un prodotto gratuito alla portata di tutti: la fede."
  6.  A questo libro segue "Gesù e i saldi di fine stagione", un'opera più di fantasia ma ugualmente provocatoria e che offre lo spunto per ampie riflessioni sul tema. La scrittura di Bruno è puntuale ma non per questo poco piacevole, anzi. Il suo gusto per il motto di spirito, la sua arguzia, la sua ironia pungente sono sempre presenti rendendo la lettura delle sue opere estremamente coinvolgente ed appassionante. Parlando di pubblicità, non ho potuto fare a meno di chiedere a Bruno il suo punto di vista sulle tecniche messe in atto anche dai leader politici. A voi il piacere  di leggere le sue risposte mai banali o superficiali, auspicando una riflessione sulle strategie del marketing  che sono oggi più attuali che mai e sperando che i cattolici riescano ad andare oltre quella che per loro potrebbe sembrare blasfemia.
  7. 1) In che senso la Chiesa ha inventato il marketing?

  8. Io sono stato il primo a dirlo ma ci sono voluti due libri per dimostrarlo, quindi è un argomento un po' lunghetto da spiegare… anche se Monsignor Ernesto Vecchi nel 1997 aveva già detto: "Il marketing? L'abbiamo inventato noi". In "Gesù lava più bianco" ho mostrato come le strategie utilizzate dalla Chiesa in 2000 anni di storia coincidano precisamente con i principi del marketing moderno, testo a fronte. Quello che molti non capiscono è che il marketing non ha nulla a che fare con la vendita di qualcosa ma con lo scambio di valori. E adesso l'argomento cominciano ad accettarlo perfino i sociologi della religione… 

    2) Ne ha ancora bisogno ora che è travolta da scandali di ogni tipo? 


    Beh non è certo con il marketing che si risolvono gli scandali… Ma, da un certo punto di vista, gli scandali sono il guaio minore fra i problemi che la Chiesa deve affrontare oggi. Certo influiscono enormemente sulla sua credibilità, ma la Chiesa in realtà è sull'orlo del baratro e fa finta di non accorgersene. Ci sono problemi interni che stanno sfuggendo di mano e soprattutto la sua dottrina è ormai obsoleta e inadeguata ai tempi. 


    3) Nel libro "Gesù e i saldi di fine stagione" ipotizzi che la Chiesa sia in crisi: quanto è vero ciò? E credi che la crisi sia dovuta a lacerazioni interne?

    La crisi della Chiesa cattolica è un fatto epocale, non sono io a dirlo. L'ha detto in vario modo e a più riprese Hans Küng, il più grande teologo cattolico (ma anche il meno ascoltato dalla Chiesa) che fu compagno di studi proprio di Ratzinger. Io mi sono limitato ad inquadrare da un punto di vista di marketing i fattori di crisi. C'è prima di tutto una frammentazione in tante "chiese nella Chiesa", centri di potere come Comunione e Liberazione, Opus Dei, Focolarini e Legionari, che si contendono fette di potere senza esclusioni di colpi e intendono il cristianesimo in modo piuttosto diverso. Poi c'è l'arrivo di nuovi e temibili concorrenti, cioè religioni nate a tavolino e inventate da uomini di marketing. E ancora, l'avvento delle nuove tecnologie: di fronte all'intelligenza artificiale, ai primi esseri sintetici dotati di coscienza (e state tranquilli che ci stiamo arrivando, in Giappone siamo già alla ricerca sui "sentimenti artificiali") tutta l'etica cattolica, come dicevo prima, risulterà obsoleta e se la Chiesa non porrà mano urgentemente a un rinnovamento dei suoi valori fondanti rischia di scomparire. Infine, nel libro sostengo che la Chiesa cattolica con la sua crisi di credibilità rischia di trascinare nel baratro tutto il cristianesimo. Nel momento in cui implicitamente la Chiesa di Roma dice "il cristianesimo siamo noi", tutti quelli che si dichiarano cristiani sono coinvolti e condividono, loro malgrado, questa perdita di credibilità. 


    4) Sei critico con la Chiesa ma obiettivo: quali sono i punti della strategia pubblicitaria del Cattolicesimo che di più t'infastidiscono? Si può parlare di pubblicità ingannevole?


    No, perché è rivolta a gente che chiede proprio questo: illudersi. Oggi ci sono perfino studi che spiegano la "performance" dei sacramenti. Nella teologia più moderna si parla di "efficacia". È terribile. Come se occorresse ancora trovare giustificazioni razionali a qualcosa che non ha nulla di razionale ma che sta anche perdendo il suo potere magico. Perché sta venendo a mancare la fiducia da parte della gente e la ritualità sta svuotandosi di significato. Non ha più pathos, non ha più sostanza. Per questo stanno aumentando i neo-pentecostali e le forme di cristianesimo che provengono dal Sud del mondo. Nei loro riti l'atmosfera si taglia col coltello, si tocca con mano lo "spirito", c'è carne e c'è sangue veramente, c'è gente che si mette a piangere, che cade in trance. In confronto, una messa fatta da qualsiasi prete dell'Occidente civilizzato sembra un noioso rito burocratico svolto da un "impiegato della spiritualità" che timbra il cartellino ogni domenica per un pubblico di gente annoiata. Il cattolicesimo ha perso completamente la sua spiritualità, il suo misticismo. Vogliamo parlare di inganno? Il massimo inganno è sentir parlare di "misticismo" da un papa teologo razionalista: quanto di più lontano possa esistere dalla semplicità di San Francesco.

    5) Da un punto di vista strettamente comunicativo, quali sono le maggiori differenze fra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?


    Papa Wojtyla ha fatto uso della spettacolarizzazione e di un linguaggio semplice, Ratzinger parla come un teologo. Anche quando sembra usare apparentemente un linguaggio semplice si sente che dietro a quella semplificazione c'è tutta la complessità della teologia e quindi risulta freddo, cerebrale. Ma attenzione che nel marketing si usa dire che quando un prodotto arriva alla fine del suo ciclo di vita, c'è ancora una possibilità: quella di fare più pubblicità possibile al prodotto, fare chiasso, per sostenere ancora le vendite mentre si pone mano ad un rinnovamento del prodotto. Wojtyla doveva essere consapevole della crisi, forse la sentiva già, e istintivamente ha agito in modo corretto. Il fatto è che poi si sarebbe dovuto riunire il concilio, pardon consiglio d'amministrazione, e pensare ad una riforma della Chiesa. Invece Ratzinger non l'ha fatto, si è comportato come un ottuso amministratore delegato, dicendo che tutto va bene e che non occorre nessuno concilio, un po' come Marchionne, insomma, finché ci sono ancora consumatori che ci credono. Ma non si può caricare tutto sulla buona fede dei consumatori, anche la Marca deve assumersi delle responsabilità. Il cardinale con cui mi confronto in "Gesù e i saldi di fine stagione" appartiene alla stessa minoranza di Carlo Maria Martini, che ovviamente è una minoranza nella Chiesa, che non ha voce in capitolo. Eppure Martini sulla questione si è espresso così: "Un concilio? Ma ce ne vorrebbe uno al mese di concilio! Io ormai passo il poco tempo che mi rimane a pregare per la Chiesa"…


    6) Come ti spieghi la fascinazione per dei leader o degli ideali che, poi, vengono magari criticati nella pratica quotidiana?

    Io sono un vecchio anarchico e sogno ancora l'utopia, la società autogestita e senza leader, ma in Italia la gente è rimasta intimamente monarchica, ha bisogno di leader per poter decidere o forse per delegare loro tutta la responsabilità di gestire la cosa pubblica, mentre la parola "democrazia" significa esattamente l'opposto. Deleghiamo pur di non fare la fatica di partecipare e poi continuiamo a lamentarci perché tutto va male. Siamo ancora un popolo di schiavi. 

    7) Che differenze vedi fra il fenomeno Berlusconi e Grillo?

    Sarebbe troppo facile rispondere che non c'è nessuna differenza, sono due comici. Ma questa battuta l'ho già sentita e allora dirò che c'è un abisso. Come c'era un'abisso fra la Lega della prima ora, partito popolare, e Forza Italia, partito di plastica inventato dalla borghesia di destra. Entrambi hanno dimostrato quanto in Italia siamo lontani dalla democrazia. Non ho ancora visto in azione il movimento di Grillo. In termini parlamentari, intendo: è difficile passare dallo spontaneismo di piazza alla politica istituzionale tutto d'un botto. Staremo a vedere. Berlusconi e Grillo però materializzano delle pulsioni che sono presenti nella gente: il primo è l'apostolo dei furbi, il secondo è l'apostolo di quelli che "bisogna cambiare tutto" ma poi sono costretti ad entrare in Parlamento…

    8 )  La pubblicità è, in qualche modo, anche l'arte di manipolare. Come si può evitare di rimanerne vittime?



    Questo è un luogo comune. E non lo dico perché spesso mi auto definisco un "pubblicitario pentito", ma perché è una leggenda metropolitana che risale al famoso libriccino scritto dal giornalista Vance Packard, "I persuasori occulti" a partire dal quale la gente ci ha additati come untori, come oscuri manipolatori di coscienze. La buon pubblicità invece è trasparente e si fa alla luce del sole, deve essere prima di tutto informativa (ricordo il motto di una delle grandi corazzate Potemkin della pubblicità, la McCann Erickson, che era "Truth Well Told", ovvero, "la verità detta bene". Noi se diciamo il falso andiamo in tribunale. I veri manipolatori, i veri persuasori occulti, sono i nostri colleghi comunicatori che lavorano nelle PR (le Public Relations), e organizzano congressi scientifici per orientare l'opinione pubblica verso la difesa di prodotti dannosi o dirottandola su aspetti irrilevanti facendo disinformazione. Perfino Veronesi fa disinformazione quando parla degli OGM e dice che li mangia abitualmente e garantisce che non sono cancerogeni! Ma infatti chi ha mai detto che sono cancerogeni? Il problema sta da tutt'altra parte e cioè che se per caso cominci a coltivare gli OGM questi rendono sterile il terreno e i terreni circostanti e tu che prima usavi una parte delle sementi del raccolto per seminare di nuovo, da adesso in poi dovrai andarle a comprare ogni anno dalla Monsanto e dalle altre multinazionali che hanno inventato questi mostri per farti diventare loro cliente! Ripeto, se esiste l'arte di manipolare, noi pubblicitari non l'abbiamo mai usata. 

    9) E' solo la religione cattolica ad usare strategie comunicative?

    Le strategie di comunicazione le usano più o meno tutti coloro che devono fare proselitismo o diffondere un messaggio. Ma la Chiesa cattolica è l'unica l'unica che a monte di queste strategie ha anche delle strategie di marketing.

    10) Quali personaggi storici e quali contemporanei hanno saputo, secondo te, usare meglio le strategie comunicative e quanto consapevolmente?

    Quando dicono che Berlusconi è stato (anzi è, perché purtroppo esiste ancora) "il più grande comunicatore", dicono una sciocchezza. Perché dopo essersi appropriato di quasi tutti i canali di comunicazione, compresa la Rai, qualunque sciocchezza dica ha una copertura tale per cui agli occhi della gente sembra che nessun altro lo contraddica e quindi abbia ragione. E il suo messaggio proviene da una strategia di vendita non di marketing. C'è una differenza fondamentale fra chi vende e chi fa marketing: chi vende ha come obiettivo solo quello di vendere a qualsiasi costo purché si venda. Per i padri fondatori del marketing come Philip Kotler, invece, l'obiettivo principale del marketing è ottenere la soddisfazione del consumatore (oggi si dice "stakeholder" cioè persona coinvolta). Con questo il marketing ottiene la fidelizzazione, ovvero la fiducia del pubblico di riferimento e solo grazie a questo riuscirà a stabilire nel tempo uno scambio commerciale valido in termini di reciproca soddisfazione. Le strategie di comunicazione che escono da questo processo sono più "oneste". Faccio un esempio nella comunicazione politica, che in genere è la più disonesta e secondo me non dovrebbe nemmeno esistere (in pubblicità si usa fare promesse verificabili pena la perdita di fiducia da parte del pubblico, e i politici che fanno pubblicità fanno promesse che ancora non possono dimostrare di mantenere, quindi la pubblicità politica è immorale). Ebbene, in una delle ultime elezioni, Niki Vendola ha fatto realizzare una campagna in cui diceva semplicemente quello che aveva fatto non quello che avrebbe fatto. Come dire "su questo non ci piove, sono in grado di farlo perché l'ho fatto". Questo è un esempio di campagna onesta. In generale non mi piace la modalità cui ci siamo abituati da Toscani e Sgarbi in poi, cioè la comunicazione urlata. E poi l'abuso dei media di massa. Oggi sembra che i migliori comunicatori siano solo quelli che urlano di più sui mass media. E non è affatto così. Per me, i migliori comunicatori della nostra epoca tecnicamente sono Tullio De Mauro e Umberto Eco, ma quanti li hanno seguiti? Quanti li hanno letti? Parliamo di personaggi storici: per me, il più grande comunicatore (e stratega di marketing) di tutti i tempi è stato Paolo di Tarso. Senza di lui il cristianesimo sarebbe rimasto la religione di una minuscola e sconosciuta setta ebraica. Un uomo di un'intelligenza oserei dire diabolica.

venerdì 8 giugno 2012

Se permettete sono gay- Intervista a Michele J. Camarda

Fare informazione non significa essere obiettivi, nessuno che sia onesto potrà mai dichiarare la sua neutralità su un tema perché ognuno di noi ha quel bagaglio di conoscenze e di vissuti che lo costringono a prendere posizione. Ma fare informazione significa essere onesti, porre cioè quelle domande che porrebbe chi non la pensa come me. E dunque nel giorno del gay-pride a Bologna ho deciso di far conoscere la realtà di un omosessuale comune. Nessun personaggio celebre, nessun VIP che darebbe una versione comunque distante dalla realtà quotidiana vissuta da un omosessuale. Non aspettatevi la solita storia strappalacrime, Michele J. Camarda è un uomo fortunato e sa di esserlo. Non ha ricevuto botte, non è stato escluso, non è stato rinnegato dalla sua famiglia né dagli amici, non vive drammi né lacerazioni interiori, Michele è un uomo comune (non uso appositamente la parola "normale" perché i termini della "normalità" ritengo siano soggettivi), ha di speciale un'intelligenza brillante, un grande senso dell'umorismo e una cultura che si evince da ogni sua risposta. Prima di lasciar parlare lui, una premessa doverosa: il termine "pride" non significa "orgoglio" letteralmente, ma "non vergogna", fierezza delle proprie scelte. Infine: tutte le risposte date da Michele sono ovviamente rispecchianti il suo pensiero, non vogliono e non possono essere simbolo di un ipotetico "pensiero gay" giacché questo non può esistere, ogni individuo rappresenta sempre solo sé stesso ed immaginare che tutti gli omosessuali condividano gli identici pensieri è, a parer mio, la prima forma di discriminazione ingenerata, come sempre, dall'ignoranza.

1) Essere gay è una scelta o una condizione imposta dalla natura?

Una condizione meravigliosamente suggerita dalla natura, come qualsiasi altro orientamento affettivo/sessuale!

2) Come hai vissuto personalmente la tua omosessualità? Com'è stato parlarne alla tua famiglia e ai tuoi amici?

“Mamma, sono gay!”
“Yahoo! Niente sciacquette in casa!”
Facilissimo, perché sono nato e cresciuto in un contesto culturale medio-alto (dunque riconosco di essere stato “privilegiato”).

3) Quali sono, secondo te, le difficoltà che incontra quotidianamente un omosessuale?

Avere a che fare con persone idiote, arretrate e medievali (che rappresentano, ormai, il 98% della popolazione italiana).

4) Quando gli uomini sanno che sei gay cambiano atteggiamento nei tuoi confronti? Temono avance?

Quelli con pochi strumenti culturali e poche letture, incapaci di esprimere correttamente nella propria lingua madre qualsiasi concetto, sì. Gli altri ovviamente no.

5) E' più difficile per un omosessuale avere una vita di coppia a partire dal corteggiamento?

Credo che le esperienze siano simili. C’è sicuramente un ostacolo in più: a parte l’attrazione reciproca occorre che entrambi condividano il medesimo orientamento.

6) Quali sono gli stereotipi che più ti infastidiscono sui gay?

Mi infastidisce qualsiasi stereotipo, anche riguardante gli etero. Le sfumature fra una persona e un’altra sono molteplici; non riesco a pensare a un essere umano e incasellarlo in categorie

7) Che senso ha il gay-pride? Può esistere un orgoglio omosessuale?

Esiste, nel mio caso, l’orgoglio di non fingere di essere etero e accoppiarmi con donne usate come copertura. Non ho mai partecipato a un Gay Pride per un unico motivo: soffro il caldo e vengono organizzati sempre d’estate!

8 )  Qualcuno dice che "tollera" benissimo i gay a patto che non si bacino in pubblico: è omofobia?

Sì. Che deriva dall’analfabetismo di cui sopra, fonte di qualsiasi male che affligga la società contemporanea; nonché dalla paura dei propri desideri latenti e repressi.

9)  Che cosa pensi di personaggi famosi che hanno dichiarato pubblicamente di essere gay? E di chi non lo fa?

Penso tutto il male possibile di chi si finge etero, come già asserito. Il “non detto”, a patto che non venga accompagnato da dichiarazioni omofobe per allontanare i sospetti da sé, non mi dà fastidio. Rispetto la privacy di chiunque.

10) Quali sono i diritti imprescindibili che la società dovrebbe dare ai gay e credi che l'Italia sia pronta a riconoscerli?

I diritti civili e umani, che dovrebbero essere condivisi da tutti. In più auspico una Legge contro l’omofobia. Essere picchiati esclusivamente in quanto persone omosessuali è ben diverso da violenze generate da comportamenti o avvenimenti assortiti. Alcuni italiani sono pronti; chi li rappresenta, o si illude di poterli rappresentare, evidentemente non ancora.

11)  Qualche astrologo usa fare gli oroscopi per "donne", "uomini" e "gay": che cosa ne pensi? L'omosessualità investe solo la sfera intima o è un modo di essere?

Anche questo deriva dall’abnorme e inconcepibile ignoranza della società attuale. Distinguere “genere”, “identità di genere” e “orientamento” dovrebbe essere alla portata di tutti, non prerogativa degli adepti dell’Accademia della Crusca.

12)  Ritenere "gay" un insulto non è già di per sé fare una discriminazione?

È una delle peggiori.

13) Secondo te Gesù oggi che atteggiamento avrebbe verso l'omosessualità?

È come chiedermi come si comporterebbero Candy Candy o Capitan Harlock. Per me sono, tutti e tre, frutto della fantasia di geniali autori.




mercoledì 6 giugno 2012

Io, vittima di stalking.-Intervista a Eleonora Giovannini.


Eleonora è una poetessa, scrittrice, giornalista ed ultimamente volto noto della TV per la sua partecipazione in molti programmi (potrete trovarli su Google e ascoltare direttamente la sua voce). La forza di Eleonora è stata soprattutto quella di raccontare la sua esperienza di vittima di stalking; l'ha fatto in TV, in radio, in un libro, continua a farlo attraverso gruppi e pagine su FB (http://www.facebook.com/groups/93261822914/), per aiutare altre persone spaventate, umiliate, picchiate, maltrattate psicologicamente, devastate ad uscire da quell'incubo prima che sia troppo tardi. E', così, diventata punto di riferimento per molte altre vittime di stalking alle quali offre conforto, solidarietà e consigli pratici per aiutarle a non soffrire più. Eleonora è anche una persona dolcissima, umile e forte, donna in ogni sua manifestazione, bella fuori e dentro che vi invito a conoscere attraverso le sue stesse parole. A me hanno dato i brividi e, commossa, la ringrazio.

1) Sei stata vittima di stalking: come te ne sei resa conto?

La consapevolezza è in effetti il primo passo verso la libertà. Essere vittime di stalking non significa semplicemente subire maltrattamenti, ma ha a che fare con uno stato dell’io molto più profondo, con una forma di isolamento progressiva, come un’iniezione a piccole dosi che si traduce in invalidazione. Si smette non tanto di vivere, ma di esistere. Si perdono i riferimenti con la normalità, con la comunicazione, con le cose e con le persone. Quando si soffre di ansia e non si sa il perché, allora qualcosa non va. E’ da questa domanda che ho iniziato il mio percorso di coscienza. Non si sta mai male per caso.

2) Qual è la difficoltà principale per una vittima di stalking?

Una vittima di stalking ha paura anche della propria ombra, teme di aprirsi agli altri perché sente di non essere creduta e di essere giudicata. Lo stalker è un manipolatore abile e razionale, che si nutre delle nostre stesse insicurezze e che pianifica ogni sua azione a priori, strumentalizzando ogni situazione a proprio vantaggio, ma soprattutto screditando la sua preda agli occhi del mondo. Il mondo di cui parlo è rappresentato da coloro che fanno parte della vita della vittima, quindi la famiglia, gli amici. Quando un felino vuole uccidere la sua preda cerca di isolarla per poterla agguantare. Il comportamento dello stalker è simile a quello di un felino.

3) Hai denunciato. Sei stata aiutata dalle forze dell'Ordine?

Ho denunciato cinque volte il mio stalker, ma non sono stata assolutamente tutelata. Ho assistito ad una vera e propria omertà, accompagnata da un’ipocrisia sociale vergognosa. Ho incontrato qualche esponente delle forze dell’ordine in gamba e professionale, ma di altri non posso dire altrettanto. Il mio aguzzino è un maresciallo dei carabinieri, che ora, oltre a non essere mai stato nemmeno trasferito, vanta perfino dell’utilizzo di un alloggio di servizio, con tutti i confort che ne derivano. Al contrario, io, ho arrancato per diverso tempo nel disagio profondo e con una bambina a carico. Ho ricostruito la mia esistenza da zero, con il supporto di una psicologa e facendo appello alle mie risorse personali

4) Quali sono i consigli che senti di dare a chi è vittima di stalking?

Mai accettare la propria condizione, soprattutto mai inventare a se stessi una realtà alternativa inesistente, mai giustificare il proprio stalker. Bisogna affrontare lo stato di cose. Ce l’ho fatta io con un uomo armato, priva di mezzi economici, priva di un lavoro e perfino della patente. Ogni condizione grave è superabile. Vorrei ricordare che è la nostra paura che rende forte un carnefice. Smettere di avere paura vuol dire rendere lo stalker debole. Consiglio inoltre di tessere intorno a se stessi una tela relazionale. Chiedere sostegno ad amici, soprattutto affidarsi ad uno psicologo bravo e competente. Parlarne con un avvocato e denunciare. La denuncia, al di là dei suoi percorsi burocratici lenti, ufficializza la nostra condizione, la tira via dal silenzio e questo dato è molto importante. Non è vero che denunciare è un rischio per la propria incolumità. E’ vero che tacere regala spazio allo stalker.

5) Assistiamo a casi di stalking e femminicidi ormai quasi giornalmente: secondo te per quale ragione?

Io credo che le ragioni siano legate ai mutamenti storici, al percorso di autoaffermazione della donna. Una volta le donne subivano i soprusi culturalmente, oggi abbiamo di fronte una donna che sfugge al controllo ed al dominio maschile. La donna ha un ruolo sociale ben definito, che le conferisce non soltanto dei diritti, ma una propria identità giuridica e personale. Questo dato ribalta drasticamente la vecchia gerarchia sociale.

6) Che cosa non dovrebbe mai fare una vittima di stalking?

Una vittima di stalking deve giocare con le stesse carte che usa lo stalker. Non deve essere impulsiva, non deve “perdere la testa”, non deve spaventarsi, soprattutto non deve comunicare con il suo stalker, poiché non esiste comunicazione con chi controlla la vita degli altri, ma soltanto una spirale psicologica che tende ad indebolire ed annullare

7) Come hai fatto a superare la tua personale esperienza?

Mi sono amata. Ho voluto bene a tutte le mie molteplicità, alla Eleonora donna, madre, femmina e professionista.  L’autostima non è soltanto una bella parola scritta sul libri. E’ il contatto costante della nostra mente con la propria anima. Noi siamo importanti, fondamentali. Abbiamo potere personale, abbiamo un talento da esprimere ed una vita da meritare. Questo è l’obiettivo. Vincere non è semplicemente sopravvivere e salvarsi. Vincere significa pretendere di essere felici.

8 ) Aiuti altre donne: lo stalking ha molte facce e qual è quello più difficilie da riconoscere?

Si, molte donne mi scrivono e si identificano in me. E fanno bene. Io sono l’esempio vivente di una donna che ama se stessa e la propria vita. Lo stalker deve essere riconosciuto dalla vittima, ma anche dalle persone alle quali la vittima chiede aiuto. Alle vittime dico: chi vi ama non vi controlla. Non confondete la protezione con l’isolamento. Non esiste protezione in amore, ma valorizzazione dell’autonomia altrui. Alle persone che osservano dico: lo stalker è l’opposto di ciò che sembra. Diffidate dalle apparenze, da quei modi gentili e puliti attraverso i quali si mostra, ma fidatevi delle richieste di aiuto della vittima, che in apparenza sembra tanto squilibrata emotivamente. E’ soltanto indebolita, confusa e spaventata. Aiutatela, non abbiate paura di chi chiede aiuto.

9) Hai scritto un libro sulla tua esperienza, "Stop", e sei spesso in TV: ciò ti ha tutelata maggiormente o esposta ad altre critiche?

Il mio libro “Stop testimonianza di una vittima di stalking”, è servito a tante donne che lo hanno letto, perché nello stesso esorto al coraggio e dimostro che qualsiasi condizione di abuso è superabile. La scrittura per me è stata l’unica forma di identità. I miei diari, le mie poesie, erano anche allora una finestra sul mondo. Ed ora rappresentano per me una professione. Andare in tv mi è servito tantissimo, è stato come ricevere l’abbraccio di un universo, un modo per uscire dal buio più nascosto e rivelarmi alla luce. E’ stata anche una prova di forza, dove non sono mancati i giudizi, gli attacchi da parte di mitomani, di stalker, di gente affetta da invidia. Ho subito ritorsioni anche a scuola, veri e propri fenomeni di bullismo rivolti a mia figlia.

10) Quanto è cambiata la tua vita rispetto ai sogni che avevi da bambina? Che cosa sogni adesso? 

Io ho avuto una vita costellata da abbandoni. Sono cresciuta in collegio e sono stata adottata a sette anni. Lo stalker sceglie sempre la sua vittima e di solito preferisce circuire quelle già provate o più fragili. La mia vita non è cambiata, è proprio una seconda vita. Per un lungo periodo credo proprio di essere stata morta. Ora sono presente, esistente, guido la macchina e lavoro. Pubblico libri, scrivo per un giornale, collaboro con diversi artisti nel campo del teatro e dell’editoria. Soprattutto sono amata dagli altri, sono amata e cercata. E questo succede a chi ha imparato ad amare se stesso. Sogno di assistere ad una società forte, fatta di donne che sorridono. Molti mi dicono:”ma tu ce l’hai fatta perché hai studiato e sai parlare, sai scrivere”. Rispondo loro: No, io ce l’ho fatta perché ho amato me stessa. Un tempo ero balbuziente e non sapevo esprimermi in pubblico. Non è necessario aver studiato per vivere con gioia. Conta semplicemente credere in noi stessi, che non è una frase fatta dei cioccolatini perugina. E’ prendere atto che ognuno ha un proprio talento e delle risorse personali. Non identificatevi nella mia personalità, ma nelle azioni che vi ho elencato e che portano chiunque allo stesso traguardo.

lunedì 4 giugno 2012

Il calcio e il rapporto con Beppe Grillo- Intervista a Gianluca Iovine.

Gianluca Iovine è un giornalista e sceneggiatore che si è fatto conoscere attraverso un libro, "Cercando Scirea", edito da Castelvecchi. Scirea diviene un simbolo (e chi ha vissuto i Mondiali del 1982 non può scordare un solo attimo di quell'avventura), ricreato attraverso spezzoni di vita privata e pubblica. Per chi l'ha visto giocare era un modello di eleganza, riserbo, signorilità; difficile trovare qualcosa di simile nel panorama calcistico attuale. Con la stessa passione, Gianluca s'impegna in politica, nel Movimento 5 Stelle di Grillo ed anche questa è un'occasione per poterci interrogare sul nostro presente in attesa di un futuro che, banalmente come sempre, ci si augura migliore. Il pregio maggiore di Gianluca, oltre alla conoscenza di ciò di cui scrive, è l'onestà accompagnata dalla rara obiettività che pochi tifosi di calcio e/o di politica mostrano di avere.


1) Perché proprio Scirea? Sei un tifoso della Juventus?


Da ragazzo tifavo Juventus ed ero felice di completare la formazione sull'album Panini. Di Scirea mi colpiva il viso irregolare e quel neo sul volto. Poi venne il tempo di vederlo giocare, anche in Nazionale. Fu allora che capii che campione era. Più tardi mi innamorai della sua anima silenziosa. Mi stupiva che fosse amato dagli avversari, che si sforzasse di non apparire mai, che non cercasse mai una prima pagina. Era proprio la sua indole. Con il carattere di Mariella (la moglie, n.d.r.) e il talento di Gaetano sarebbe venuto fuori un secondo Platini.
Attraverso la vita di Scirea, per metafora, si parla del Paese, dei suoi cambiamenti, dell'importanza della memoria. E chiunque abbia nostalgia, come me, di suo padre, anche se non era una campione di calcio, può rintracciarlo in quelle pagine. Perchè Cercando Scirea molte cose nascoste, anche di sè stessi possono essere riscoperte.


2) Credi che il calcio, ai tempi di Scirea, fosse diverso da quello attuale? Mi sto riferendo ai recenti scandali sulle partite truccate.


Non era poi così diverso, e ce lo dice Carlo Petrini nei suoi libri. Gli scandali però erano percepiti come un'eccezione, e non macchiavano un intero campionato. Ecco, da questo punto di vista, era un'altra epoca, perchè chi sbagliava aveva di fronte tifosi e addetti ai lavori che avevano principi più chiari, più puliti.


3) Di chi è la colpa? E che cosa si può fare per fermare il fenomeno?


La colpa è del denaro, e della debolezza e dell'ipocrisia degli esseri umani. Vale per il calcio, ma potrebbe valere per la politica, per la fede, per l'economia. Bisogna tornare alle radici, all'essenzialità. Personalmente penso sia una vergogna che aziende che si occupano di scommesse sponsorizzino il Campionato.


4) Come giudichi le affermazioni di Buffon sia sui pareggi indolori che contro la stampa? Come capitano ha qualche dovere in più?

Buffon è uno dei più grandi campioni di tutti i tempi, e forse anche per qusto dovrebbe riflettere su quello che dice, sull'effetto che ha. E' un portiere, ma non può parare ogni cosa considerandolo un attacco personale. Se la magistratura lo riterrà chiarirà la sua posizione. Io credo che però un Campione non dovrebbe avere comportamenti così leggeri e usare certe affermazioni. Dovrebbe ricordare che chi difende la porta della Nazionale è il campione di tutti e deve dare l'esempio. Ma forse queste mie affermazioni sono del tutto fuori tempo.

5) Due proposte forti: quella di Monti di sospendere il campionato per 2 anni, quella di Prandelli di non presenziare agli Europei. Che ne pensi?

Quella di Monti era una provocazione, per dire che siamo di fronte a un verminaio e l'idea di risolvere tutto al ritmo del "presto e bene" è sbagliata. Prandelli credo che abbia voluto allentare la tensione ed essere rassicurato dalle istituzioni. Motivi per non presenziare agli Europei ce ne sarebbero: in primis le sevizie in carcere alla Timoshenko e l'aberrante sterminio dei cani randagi per ripulire le strade di Euro 2012. Cose che infatti non mi faranno vedere gli Europei. Credo che Prandelli tenga molto a questa competizione e stia comunque facendo del suo meglio in un momento particolarmente difficile per il calcio e la società italiani.

6) Altro fenomeno inquietante: il comportamento delle tifoserie. Non lo si riesce ad arginare perché qualcuno ha interesse a non farlo?

Il tifo è molto cambiato, negli anni. Io penso che le società abbiano poca indipendenza rispetto al tifo. Che in certi casi diviene vero e propio ricatto, o intimazione. In fondo anche la tessera del tifoso e i tornelli non hanno certo risolto il problema. Dunque, più che reprimere bisogna affrontare il problema partendo dalle nuove generazioni, dalla scuola, insegnando il valore del calcio pulito, la necessità delle regole, il senso della sconfitta. Chi impara a perdere ha imparato tutto, del tifo.

7) Sei impegnato attivamente in politica. Perché il M5S?

Il mio è un impegno da simpatizzante.Sì, mi sono candidato alle regionali in Campania, prendendo 42 voti e ricavandone una bella esperienza umana.  I miei amici di Napoli, loro sì stanno cambiando il quotidiano della città. Io cerco di seguire, in modo critico, spesso, le dinamiche del Movimento, e di confrontare la mia opinione. Credo in una rivoluzione delle coscienze e delle culture. Se potessi, inonderei di libri gli italiani. 

8)  Quindi non ti riconosci nell'etichetta di "grillino". Delle critiche a Grillo che pensi?

Non è un'etichetta esistente. Diciamo che è usata per comodità giornalistica. Sulle critiche a Beppe Grillo penso che sono utili prima di tutto a lui, per arginarne l'esuberanza, che a volte è eccessiva, e a noi del Movimento, per capire che dobbiamo rimanere teste pensanti e cittadini liberi, sempre. 

9) Forse non è esistente, ma ammetterai che i seguaci di Grillo raramente accettano critiche sull'operato del loro guru. Questo non ti fa paura?

Per fortuna non è così. Io non credo ai guru. Credo all'onestà, di chiunque possa e voglia far qualcosa per una comunità, per piccola che sia. Questo significa esporsi a critiche, confrontarsi, collaborare e anche affrontarsi. Beppe Grillo lo conosco, ma non così nel profondo da sapere cosa ha davvero in animo. So che se voleva arricchirsi e sfruttare la gente, ha di certo scelto la via più difficile.   Io credo che a lui per primo non stia bene questa società corrotta. Però mantengo sempre vigile il senso del dubbio. Perchè nessuno può porsi al di sopra degli altri.  Mi fa paura la falsità. Le parolacce mi danno fastidio ma non mi fanno paura, temo di più l'ipocrisia e la violenza, in politica. Per fortuna non tutti i sostenitori sono aggressivi.Ci può anche stare che qualche sostenitore del Movimento si arrabbi per le critiche a Beppe Grillo, ma vale per qualsiasi tipo di militanza: tu prova a dire a quelli di SEL che Vendola è pro inceneritori, chiunque tende a difendere un progetto politico se ci si riconosce.  

10) Dopo esserti occupato di Scirea, stai lavorando a qualche altro romanzo?

Ho scritto un romanzo: "Il gigante al tramonto". E' la mia storia, e quella di mio padre, distorte, imbrogliate,e sconvolte e persino addolcite dal cancro. Un libro che non credo pubblicherà mai nessuno. Perchè c'è dentro una vita uguale a tante, troppe altre.